Società

Andreotti, a 100 anni dalla nascita ricostruite le amicizie con Papi e prelati. Tra cui ben sei santi

Indro Montanelli diceva: “De Gasperi e Andreotti andavano insieme a messa e tutti credevano che facessero la stessa cosa. Ma non era così. In chiesa De Gasperi parlava con Dio, Andreotti con il prete”. Di sicuro il “Divo” parlava anche con i Papi, e perfino con i santi. È ciò che hanno ricostruito, documenti alla mano, monsignor Leonardo Sapienza, reggente della Prefettura della Casa Pontificia, e Roberto Rotondo, giornalista, dal 1990 al 2012 vicedirettore responsabile della rivista internazionale 30 Giorni nella Chiesa e nel mondo diretta proprio da Giulio Andreotti. In occasione dei cent’anni dalla nascita del sette volte Presidente del Consiglio, Sapienza e Rotondo hanno dato alle stampe il volume I miei santi in paradiso. L’amicizia di Giulio Andreotti con le figure più note del cattolicesimo del Novecento (Libreria Editrice Vaticana).

Nel libro sono raccolti i rapporti del leader della Democrazia Cristiana con ben sei santi (Giovanni XXIII, Paolo VI, Giovanni Paolo II, Madre Teresa di Calcutta, Padre Pio da Pietrelcina e Josemaría Escrivá de Balaguer); due beati (don Carlo Gnocchi e Álvaro del Portillo); due venerabili (Giorgio La Pira e Pio XII); e tre servi di Dio (don Primo Mazzolari, don Giuseppe Canovai e don Zeno Saltini). Non mancano ovviamente anche tanti aneddoti divertenti. “Una cosa di Giulio Andreotti – scrive per esempio il cardinale Loris Francesco Capovilla, che fu segretario di Giovanni XXIII – mi ha impressionato molto. Un giorno viene in udienza dal Papa e, come le antiche e buone famiglie romane, non viene solo con la mamma, la moglie e i figlioletti, ma porta con sé anche la domestica, come donna di casa, come parte della famiglia. Questa per me è una cosa molto bella”.

Nel libro viene riportato anche un estratto della deposizione per la canonizzazione di Giovanni Paolo II, nella quale Andreotti ricorda un episodio che lo colpì positivamente sull’animo popolare di Karol Wojtyla. “Il Papa – scrive il leader Dc – ha celebrato oggi nella Cappella Paolina il matrimonio di due giovani di umile condizione. Il padre della sposa è un netturbino che da anni allestisce un presepe nel deposito contiguo del Vaticano. La novità ha fatto scalpore. C’è chi si chiede dove andremo a finire. Io gioisco e applaudo. Viva il Papa”.

Nel 1984 Andreotti scrive a Wojtyla per raccomandargli di accelerare la canonizzazione del frate del Gargano. “Dinanzi alla vox populi che acclama la santità di Padre Pio da Pietrelcina – scrive il politico Dc al Papa – e dinanzi al miracolo vivente della sua opera in San Giovanni Rotondo, mi sembra possa auspicarsi un’accelerazione di tempi che in nulla contrasta con la normale e saggia lunga riflessione. Non mi sarei però permesso di aggiungere la mia alla voce di tanti, se non conoscessi la lettera postulatoria che nel maggio 1972 fu sottoscritta dall’intero episcopato polacco e che porta, dopo quella dell’indimenticabile cardinale Wyszynski, quella di vostra Santità allora metropolita di Cracovia”.

Particolarmente intenso è stato il rapporto con la santa dei più poveri del mondo. “Madre Teresa – scrivono Sapienza e Rotondo – nell’aprile del 1993, qualche giorno prima della Pasqua, andò a trovare Andreotti nello studio privato di piazza San Lorenzo in Lucina, perché il 27 marzo la Procura di Palermo aveva chiesto al Senato l’autorizzazione a procedere contro di lui. Arrivò senza preavviso e restò più di un’ora a parlare con Andreotti, tenendogli la mano per confortarlo, come raccontò lui stesso ad alcuni amici, in occasione della beatificazione di Madre Teresa”.

Alla presentazione del libro di Sapienza e Rotondo – avvenuta in Senato, a Palazzo Giustiniani, a pochi metri da quello che per 22 anni fu lo studio di Andreotti – sono state evocate anche le parole sul leader Dc scritte recentemente dal Papa emerito Benedetto XVI. “Vorrei fissare – scrive Ratzinger – ancora brevemente la memoria su tre persone, la cui amicizia dagli anni Ottanta è diventata importante per me. Innanzitutto Giulio Andreotti. L’ho incontrato solo di radio, in verità, tuttavia mi spediva regolarmente a casa piccoli biglietti nei quali era spesso contenuta una frase che mi rimaneva impressa, e per Natale mi faceva sempre reali particolarmente ricercati.

Di lui – prosegue Benedetto XVI – ho ammirato due cose. La ricchezza di humour con cui sapeva alleggerire lo scenario politico, e soprattutto la forza d’animo di cui diede prova nei lunghi anni in cui, nel processo sulla sua presunta appartenenza alla mafia, subì oltraggi pubblici mostruosi e fu profondamente ferito nel suo onore e nella sua dignità. Solo un uomo di grande forza interiore poteva superare quegli anni senza cadere nell’amarezza ed essere distrutto dentro”. “Questo libro – ha precisato monsignor Sapienza – non è un tentativo di beatificare o difendere Andreotti”. La domanda del numero due della Prefettura della Casa Pontificia è un’altra: “Davanti a tutti questi santi, poteva fingere così a lungo Andreotti?”.