Cronaca

Donna trascinata al guinzaglio, stavolta Napoli non ha girato la testa dall’altra parte

“Mi tormentava, si innervosiva solo se salutavo un amico, un’amica. S’ingelosiva anche se mostravo affetto per la mia cagnetta. Rabbioso e sospettoso, un’ossessione. Mi controllava nonostante facessi una vita ritirata: casa e lavoro”.

Un racconto dolente. Parole soffiate con sofferenza e disillusione. Poi i silenzi intervallati da singhiozzi e lacrime. È una confessione, un atto di liberazione. I segni di quelle catene psicologiche per anni serrate ai polsi e alle caviglie. Schiavitù e sottomissione. Una violenza nascosta e l’essere sempre vigile per limitare l’esproprio di se stessa. Una storia d’amore, malato. Un crescendo rossiniano condito da liti, gelosia e minacce. Le esplosioni d’ira, le botte, le umiliazioni poi l’epilogo drammatico. Maria, 38 anni, srilankese – nome di fantasia – è ricoverata al Trauma Center dell’ospedale Cardarelli di Napoli con una prognosi di 21 giorni dopo le brutali percosse del compagno. “Ero stanca di subire minacce: avevo deciso di lasciarlo, è peggio di una bestia”.

È il 29 dicembre. È determinata e con cocciutaggine rivuole la sua vita. Chiudere l’uscio di casa in via Gradoni di Chaia nel centralissimo salotto buono di Napoli. Prepara la valigia e chiama un taxi. Lui, un connazionale di 37 anni, da cinque anni convivente, avverte il colpo. Un vero affronto. Il re è nudo. È disperato. La scongiura, poi la rabbia incontrollata, la violenza cruda. La insegue per i gradoni, le strappa il cagnolino, sfila il guinzaglio dell’animale per metterglielo al collo. La trascina. La percuote. Spintoni, poi pugni.

L’aggressione non è più nel segreto delle quattro mura domestiche, ma per strada. La donna barcolla, crolla a terra, batte la testa, perde i sensi. L’immane scena si consuma sotto gli occhi di negozianti, passanti e chi è impegnato a fare shopping. Scoppia il parapiglia. Niente indifferenza. La testa non si gira dall’altra parte. Qui le tre scimmiette hanno vita difficile. Napoli è donna e mamma. C’è apprensione. Maria è bianca in volto. Gli occhi sono chiusi, il respiro è pesante. Un rantolo. C’è chi le bagna il viso, chi le fa vento, chi le tiene la mano, chi la riscalda coprendola con il cappotto.

È una residente a prendersi cura di Maria, vegliarla e accompagnarla con l’ambulanza in ospedale. E nel frattempo c’è chi inveisce, c’è chi si avvicina e punta verso l’aggressore. È immobile, fermo. Vuole rassicurare, tirarsi fuori, salvarsi e balbetta: “Ha la sideremia bassa. È mancanza di ferro. È svenuta. Non c’entro nulla”. È l’innesco. Prima uno schiaffo, poi un calcio, un pugno. Provvidenziale l’intervento della polizia municipale, lo salva dal linciaggio. Raccolte le testimonianze, il fermo si trasforma in arresto e poi in condanna per direttissima a un anno e quattro mesi di reclusione (pena sospesa) con l’obbligo di stare lontano da Maria.

Ora da un letto d’ospedale i pensieri si accavallano, si sovrappongono e fanno giri larghi e tortuosi. E scandisce i nomi dei suoi due figli piccoli che vivono in Sri Lanka con i nonni. A loro manda i soldi che guadagna come domestica per garantire gli studi e una vita meno difficile. È uno spaccato drammatico. La vera emergenza nazionale. Una recrudescenza di violenza mai registrata prima che ha nel mirino sempre e solo la donna.

Il femminicidio in Italia fa più morti della criminalità organizzata. Una piaga che sembra non interessare nessuno. Dovrebbe essere tra i primi punti dell’agenda di governo. I dati sono drammatici. E se a Napoli c’è ancora una reazione ferma, altrove purtroppo non è così, come testimonia Cristina Salvio, presidente dell’associazione Merida che si occupa quotidianamente dei casi di violenze sulle donne.

“L’infervorata reazione napoletana di sdegno per la donna al guinzaglio è simbolica di una cultura del Sud Italia incentrata sul prendersi cura dell’altro, dove resistono ancora quei legami umani e di solidarietà – sottolinea – in contrasto con l’alienazione spesso tipica del Nord Italia, dove è più difficile intervenire anche di fronte all’evidenza dei casi di violenza”. “Sono centinaia le richieste d’aiuto – continua – molte donne sono prigioniere e sotto ricatto. Occorre capire il fenomeno, ma purtroppo s’interviene troppo tardi, quando si fa largo la cronaca nera”.