Televisione

Pino Rinaldi ci racconta come il male, nella realtà, è ottuso

Durante l’intervista a Salvatore Parolisi, l’assassino di Melania Rea, era certo di un fatto: l’individuo che aveva davanti traduceva un vuoto terrificante. Ne era quasi un sintomatico emblema. Non era un indizio, non ancora. Però questo era e quell’intervista di Pino Rinaldi fu decisiva nel corso delle indagini, lo sappiamo bene. Autore storico di Chi l’ha visto, Pino Rinaldi oggi conduce un nuovo programma su Rai Tre (il sabato, in seconda serata) Commissari – Sulle tracce del male, programma realizzato con la collaborazione della Polizia di Stato.

Raccontare le ombre del genere umano, fino a realizzarne quasi esegeticamente l’insensatezza nella forma della crudeltà. Di lui, Pino Rinaldi, ricordo la discrezione e la gentilezza, un ossimoro che consolava forse, mentre riferiva l’abisso del cuore umano, ottenebrato, a ogni imperscrutabile scomparsa, a ogni empietà commessa nel nome dell’efferatezza. Lo ricordo con le interviste di cronaca che hanno segnato anni, un tempo, come quella a Ferdinando Carretta. Un giovane uomo devastato dalla malattia mentale, la grande omissione. Dieci anni di latitanza. Sarà Pino Rinaldi a convincerlo a costituirsi, lo trova a Londra. Dieci anni per decidersi. Ferdinando aveva sterminato la famiglia per fuggire dal padre. Lo aveva sempre in testa, aveva confidato allo stesso Rinaldi.

Gli ho chiesto se si sia fatto un’idea di cosa sia il male. È una domandona, certo. Rinaldi dice che il delitto perfetto e geniale non esiste, premeditato e franabile, il rompicapo da noir, indefettibile al contrario: è niente di più fasullo. “In verità ho scoperto che è solo un male primordiale, vuoto, idiota, assurdo”. Le architetture eccellenti sono roba da romanzi o personaggi letterari. Il male nella realtà è ottuso. Rinaldi chiosa: “Riproduce meccanismi ripetitivi, non ci sono dinamiche profonde. E’ qualcosa di estremamente stupido, sordo, muto, cieco, non ha intelligenza”.

Nessuna nobile ragione, come nel male dostoevskijano. “O c’è una psiche malata (il caso Carretta, ad esempio)” riflette Rinaldi “o è tutto abbastanza decifrabile. E i delitti insoluti sono solo il risultato di errori investigativi. Penso all’omicidio di Maria Scarfò (caso affrontato nella puntata di sabato 8 dicembre, nda), lì ci fu l’errore del medico legale incaricato dalla Procura, errore che rallentò le indagini”.  Invece c’è il bene, magmatico, confluente, in grado di suscitare stupore o nobiltà eroiche. “Ogni puntata di questo mio programma (scritto con Marcello Conte e la collaborazione di Daniela Bricca e Chiara Grigoletto, nda) racconta la vicenda con i protagonisti, i commissari, gli investigatori, che non si sono risparmiati. Loro sono il bene. Il bene che invece è qualcosa di raffinato, intelligente, delicato”.

Il bene ingenera la fascinazione di una profondità che germina. Pino Rinaldi lo racconta anche, ogni giorno, nel pomeriggio de La vita in diretta. Pagine dedicate a azioni e persone che restituiscono la generosità, la pietà, il perdono. “Ero convinto che all’origine di un mistero ci fosse la genialità, meccanismi elaborati. Nella crudeltà, ho realizzato, c’è solo il vuoto”. Noioso, misero, deludente.