Mafie

Aziende sequestrate alla mafia, i lavoratori virtuosi vanno tutelati. La sfida è capire come

di Mariachiara Ungaro*

La legge 17 ottobre 2017 n. 161, pubblicata in Gazzetta Ufficiale il 4 novembre e in vigore dal 19 novembre 2017, ha introdotto disposizioni e misure volte a implementare la salvaguardia dei livelli occupazionali e la tutela dei lavoratori nelle aziende sequestrate e confiscate alla criminalità organizzata. Il restyling del Codice Antimafia D.Lgs. 159 del 2011 è frutto di un lungo e complesso iter legislativo avviato nel novembre del 2013 dalla Commissione di Giustizia della Camera dei Deputati e concluso dopo circa quattro anni e ha interessato, tra gli altri, l’art 41 del Codice in materia di gestione delle aziende sequestrate, intervenendo su diversi aspetti relativi ai compiti dell’amministratore giudiziario con particolare riguardo alla prosecuzione dell’attività d’impresa, la previsione di forme di sostegno specifiche per l’azienda con appositi fondi pubblici e una delega al governo per l’adozione di provvedimenti volti a tutelare i lavoratori.

L’intervento in materia di gestione delle aziende sequestrate era già contenuto nell’originaria proposta di legge di iniziativa popolare A.C. 1138 recante “misure per favorire l’emersione della legalità e la tutela dei lavoratori delle aziende sequestrate e confiscate alla criminalità organizzata”, con la finalità di superare le criticità di tali procedure che hanno contribuito al fallimento di gran parte delle aziende sottoposte a misure di prevenzione e di fornire sostegno alla tutela delle ragioni dei lavoratori delle aziende stesse, affinché mantenessero i livelli occupazionali esistenti prima dell’intervento dell’autorità giudiziaria.

La proposta promossa dalla Cgil nell’ambito della campagna “Io riattivo il lavoro. Le aziende confiscate sono un bene di tutti” aveva già posto l’accento sull’importanza delle misure di contrasto all’illegalità economica, sia in un’ottica di aggressione dei patrimoni della criminalità organizzata sia di conservazione per la collettività, ponendoli come basi per la creazione di nuove relazioni economiche sane e legali, in grado di restituire lavoro e dignità alle persone al centro di un percorso di riscatto civile e sociale. Alcuni dati estratti da Infocamere aggiornati al 2017 e riportati da Il Sole 24 Ore sono utili per comprendere la rilevanza del fenomeno: le aziende sequestrate alle organizzazioni criminali sono 17.838 e impiegano un totale di quasi 250mila addetti.

Le statistiche dimostrano che solo una percentuale esigua di tali aziende riesce a sostenere il costo della legalità, in quanto nelle prime fasi di regolarizzazione dell’attività illecita l’amministrazione giudiziaria si trova a gestire aziende che hanno operato in condizioni “favorevoli”: mancanza – in alcuni casi – di adempimenti contrattuali e contributivi, assenza di costi per la sicurezza, evasione fiscale, accesso privilegiato a fonti di finanziamento, potere intimidatorio etc. L’emersione del lavoro nero rappresenta una delle maggiori voci di costo, che l’azienda non sempre riesce a fronteggiare con le proprie risorse economiche, poiché in diversi casi si tratta di imprese che non sono “intrinsecamente competitive e non nascono con finalità imprenditoriali e produttive”. Ne consegue che l’amministrazione giudiziaria fatica a mantenere gli equilibri economico-finanziari, dovendo avviare procedure che richiedono costi di gestione elevati, talvolta insostenibili, e non può assicurare il mantenimento dei livelli occupazionali.

Il D. Lgs n. 72 del 18 maggio 2018 ha previsto la delega al governo “ad adottare disposizioni per le imprese sequestrate e confiscate sottoposte ad amministrazione giudiziaria fino alla loro assegnazione, favorendo l’emersione del lavoro irregolare, nonché il contrasto dell’intermediazione illecita e dello sfruttamento del lavoro e consentendo, ove necessario, l’accesso all’integrazione salariale e agli ammortizzatori sociali”. Nel decreto all’art. 1 è previsto che il Ministero del lavoro e delle politiche sociali conceda su richiesta dell’amministratore giudiziario – previa autorizzazione del giudice delegato – un trattamento specifico di sostegno al reddito pari al trattamento straordinario di integrazione salariale per la durata massima di 12 mesi nel triennio 2018-2020. Tale trattamento esclude: i lavoratori indagati, imputati o condannati per il reato di associazione mafiosa e per i reati aggravati ai sensi del 416 bis co. 1 e reati connessi; il proposto, il coniuge, parenti, affini e persone con essi conviventi ove risulti che il rapporto di lavoro sia fittizio o che gli stessi siano ingeriti nella gestione aziendale; i lavoratori che abbiano concretamente partecipato alla gestione dell’azienda prima del sequestro e fino all’esecuzione di esso.

Il tema continua ad essere oggetto dell’attività del legislatore. Sebbene la tutela in tali realtà aziendali sia volta a preservare le posizioni dei lavoratori virtuosi, spesso ci si trova di fronte a soggetti coscienti e conniventi che accettano condizioni contrattuali parzialmente definite e talvolta persino prive di adeguate assicurazioni. La vera sfida, anche a valle di alcune previsioni del Decreto Sicurezza, sarà associare a tali forme di tutela interventi normativi volti a snellire la burocrazia e velocizzare le procedure di destinazione da parte dell’Anbsc (Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata). Peraltro, favorendo il riutilizzo sociale dei beni confiscati – che se gestiti con professionalità e impegno possono rappresentare driver per lo sviluppo del territorio “sano” e “alternativo” a quello delle mafie – si agevolerà la creazione di opportunità di lavoro e modelli culturali ed economici orientati alla legalità, idonei a perseguire l’interesse generale.

* Dottore commercialista e revisore legale dei conti. Consulente tecnico del Tribunale e della Procura della Repubblica, collaboro con l’Università Federico II di Napoli a un laboratorio di Economia e Management delle Imprese Criminali. Ho scelto di coniugare le mie aspirazioni personali con un percorso professionale complesso e stimolante, offrendo il mio contributo alla diffusione della cultura della legalità e dell’etica, per sensibilizzare all’agire consapevole, alla valorizzazione della cittadinanza attiva nonché all’economia responsabile.