Società

Hiv, Londra si avvicina allo zero ma in Italia aumentano i casi. Colpa (anche) della legge

di Gianluca Failla

Qui a Londra non si fa che parlare di prevenzione e dell’importanza di fare il test per l’Hiv da un minimo di una volta all’anno fino a una volta ogni tre mesi, in base al numero di partner sessuali e alla quantità di attività sessuale svolta. Fare il test per l’Hiv è molto importante: quando una nuova infezione viene diagnosticata si può cominciare a trattare per rendere il virus non rilevabile ed evitare il rischio di ulteriori trasmissioni. In Inghilterra, e in particolar modo a Londra, il numero dei test gratuiti offerti è in costante aumento: questo è dovuto in gran parte alle strategie di informazione, prevenzione e supporto messe in atto da varie organizzazioni operanti nel settore.

Io lavoro come coordinatore per la prevenzione Hiv per una partnership fondata dieci anni fa da tre diverse organizzazioni operanti nel settore (Gmi Partnership), al fine di offrire prevenzione e informazione nell’intera città di Londra. Andiamo ogni giorno in locali notturni, saune gay, centri sportivi e ovunque sia possibile incontrare comunità ad alto rischio (e non) per offrire test per l’Hiv gratuiti, pacchetti contenenti preservativi e lubrificante, distribuire brochure con informazioni riguardanti i diversi modi di prevenire l’Hiv. Nell’ultimo anno Dean Street, la più grande clinica di Londra per la salute sessuale, ha annunciato l’80% in meno di nuove infezioni dal 2015. In Italia, invece, la situazione sembra essere diversa e, secondo uno studio pubblicato sulla rivista scientifica Eurosurveillance, sarebbero 15mila gli italiani positivi al virus dell’Hiv non ancora diagnosticati.

È ormai noto che scoprire presto di essere sieropositivi aumenta le possibilità di ottenere benefici dalle terapie antiretrovirali, oltre che diminuire il rischio di malattie o morte, evitando l’avanzare dell’infezione e l’indebolimento del sistema immunitario. Scoprire che si è affetti dal virus e cominciare un’idonea terapia evita inoltre l’ulteriore contagio e diffusione del virus per via sessuale. Quando l’infezione non viene diagnosticata in tempi utili, le difese del sistema umanitario si indeboliscono e si può arrivare all’Aids conclamato. Una diagnosi fatta ai primi stadi del virus permette invece di iniziare un trattamento e vivere da persona sana.

Quello che mi chiedo è come mai, nonostante le informazioni siano uguali in entrambi i Paesi, ci siano nella pratica dei dati così divergenti. Mi chiedo quali ostacoli possano esserci in Italia nel mettere in atto una campagna di prevenzione che possa aiutare gli italiani e ridurre il tasso di Hiv nel nostro Paese come in Gran Bretagna.

In un’intervista rilasciata nel novembre 2017 a Il Fatto QuotidianoGianni Rezza, direttore del Dipartimento di malattie infettive dell’Istituto superiore di sanità, affermava che “a fronte di un leggero calo delle nuove diagnosi da Hiv nell’ultimo anno, abbiamo però registrato un aumento relativo dei casi proprio tra i giovani con meno di 25 anni; ciò vuol dire che in questa fascia la malattia sta diminuendo più lentamente”. Questo sembra dovuto, secondo Rezza, “a una perdita della memoria generazionale rispetto alla gravità di questa malattia”.

A mio avviso, però, in Italia un primo limite a una diagnosi non tardiva è dato dalla legge, che forse detiene anche una certa responsabilità per l’aumento dell’infezione tra i giovani. La legge 135 del 1990 stabilisce i criteri normativi in materia di accesso al test diagnostico, di assistenza delle persone affette da Aids e di tutela dei diritti degli individui sieropositivi. Nonostante ci si possa sottoporre al test Hiv in maniera gratuita previo consenso informato e garantendo la riservatezza dei dati personali di chi si sottopone al test, la legge non prevede al tempo stesso che tutti possano accedervi liberamente.

Le direttive sulla somministrazione del test in Italia, infatti, prevedono che i minori possano sottoporvisi solo previo consenso dei genitori o dei tutori legali. Soltanto i minori emancipati (ossia di almeno 16 anni) non necessitano di tale consenso obbligato. L’unica alternativa che la legge prevede è la possibilità per il minore di fare ricorso a un giudice dei minori, al fine di stabilire se permettere l’accesso al test senza che i genitori o tutori ne vengano a conoscenza. In Italia poter fare un test per l’Hiv in piena riservatezza sembra quindi un calvario per un minore di 18 anni. In Gran Bretagna, il limite per il test senza consenso dei genitori o tutori è 14 anni e questo consente un maggior controllo della propria salute, nonché diagnosi possibilmente non tardive.

Sono fermamente convinto che una campagna di prevenzione e informazione ad ampio raggio, nonché prevedere l’accesso al test Hiv dal momento in cui si è sessualmente attivi e non dai 18 anni soltanto, aiuterebbe il nostro Paese ad avere un maggiore controllo e una riduzione delle infezioni.