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Trump, militari alla frontiera e stop allo ius soli. Il sogno americano è diventato un incubo

Cinquemiladuecento militari schierati alla frontiera e il colpo in canna della cancellazione dalla Costituzione dello ius soli: nell’imminenza del voto di midterm, il 6 novembre, il presidente degli Stati Uniti Donald Trump digrigna i denti e batte il pugno sul fronte dell’immigrazione. Obiettivo: intercettare la carovana dei migranti in arrivo sul Rio Grande dall’America centrale – Honduras e Guatemala – via Messico, ma soprattutto i voti degli elettori americani ancora attratti dai suoi messaggi muscolari, populisti, nazionalisti, suprematisti.

Quanti ancora siano, lo si vedrà alle urne: martedì, gli americani rinnovano la Camera e un terzo del Senato, oltre a decine di governatori e di assemblee statali e locali. Di sicuro, la mossa di Trump sullo ius soli, politicamente discutibile sul piano dei principi e giuridicamente discussa su quello della fattibilità, polarizza ulteriormente le posizioni degli elettori: i sostenitori del presidente ne saranno galvanizzati, gli oppositori vi troveranno uno stimolo in più per mobilitarsi contro il presidente.

L’idea di abolire lo ius soli non sposterà voti fra i due campi, ma acuirà le divisioni: è una specialità di Trump, il “divisore in capo” dell’Unione, l’”untore in capo” delle fake news che, da quando scese in campo, avvelenano il dibattito politico negli Stati Uniti. Lo ius soli è inserito nella Costituzione statunitense con un emendamento che risale al 1868, poco dopo la fine della Guerra civile: l’ipotesi che l’emendamento possa essere semplicemente abrogato con un decreto presidenziale è esclusa da giuristi ed esperti; e la procedura congressuale è lunga e richiede maggioranze che oggi non ci sono.

Ma un’interpretazione dell’emendamento non è mai stata definitivamente chiarita: se esso riguardi, o meno, quanti non sono in regola con la legge, gli irregolari. In tal caso, i figli degli immigrati senza documenti pagherebbero le colpe dei genitori. Un decreto del genere sarebbe sicuramente contestato nei tribunali federali e finirebbe alla Corte suprema. Dove, però, le scelte di Trump – ultima quella del giudice Kavanaugh – garantiscono una maggioranza conservatrice.

Nella scena finale di un film di Robert Young del 1978, una madre messicana, in preda alle doglie, beffa le guardie di frontiera statunitensi e riesce a fare nascere il suo bambino sul suolo Usa: è un’immagine del “sogno americano“. Ma la scena avalla una tesi degli abolizionisti: che lo ius soli attiri i clandestini con la promessa della cittadinanza, se non per sé per i propri figli.

La presidenza Trump e tutte le sue decisioni, pure spesso inattuate, sul fronte dell’immigrazione – il muro al confine con il Messico, la cacciata dei Dreamers, la separazione alla frontiera dei genitori dai figli, ora la fine dello ius soli – incrinano il “sogno americano” e sono picconate alla visione dell’America come terra di approdo, di libertà e di opportunità. Il voto di midterm dirà se l’Unione è d’accordo per trasformare il sogno in incubo.