Calcio

Radiogol, tra sogni e ricordi. Riccardo Cucchi racconta trentacinque anni di calcio (ma non solo) minuto per minuto

L'autore sfoglia il suo personalissimo album di ricordi, riacciuffandoli qua e là, rovistando fra una vita spesa appollaiato dietro al microfono, con un paio di cuffie ben premute sulla testa e il teatro del mondo davanti a sé

“Non ho mai avuto paura del buio, anzi. Nell’oscurità si nascondono i sogni, ed è più facile averli tutti per sé”. Difficile e affatto scontato inciampare in un libro capace di rapire il lettore procedendo per impressioni, senza badare troppo alle regole del tempo o alla logica dei temi. Con Radiogol – Trentacinque anni di calcio minuto per minuto (il Saggiatore, 2018) Riccardo Cucchi sfoglia il suo personalissimo album di ricordi, riacciuffandoli qua e là. Rovistando fra una vita spesa appollaiato dietro al microfono, con un paio di cuffie ben premute sulla testa e il teatro del mondo davanti a sé. Non solo football, infatti, ma anche cronaca, Olimpiadi, avventure d’infanzia e gioventù, questo è Radiogol: 290 pagine distribuite in tre sezioni (la Radio, le Sfide, gli Incontri) in cui gli aneddoti fioriscono.

Giornalista Rai e voce amica di oltre due generazioni d’appassionati della trasmissione radiofonica Tutto il calcio minuto per minuto, sin dal prologo della sua “biografia” Cucchi sfodera una penna accattivante e finalmente libera di raccontare una passione a lungo celata, quella per la Lazio, ripercorrendo le tappe di un tifo strozzato in gola dalla neutralità del suo lavoro. Ecco dunque materializzarsi bandiere d’inchiostro pronte a festeggiare gli scudetti di Chinaglia e di Veron, ma pronte anche ad accompagnare l’autore nel suo primo ingresso all’Olimpico di Roma. Con quel campo enorme che in televisione pareva grigio e ora invece si colorava di verde. Ricordi di un bambino per lo più, di un ragazzetto che si arrampicava su, fino al settimo piano del palazzo nel quartiere Prati, per sbirciare verso Monte Mario, in direzione dello stadio, pur di avere un’anticipazione del risultato dei suoi beniamini.

Un’attrazione, quella per il calcio, nata e cresciuta con la radio. Dapprima una piccola transistor accanto a cui passare le domeniche, poi quella “dei gradi”, del concorso da giornalista vinto a 27 anni, delle prime esperienze a Campobasso e dei sogni che si fanno realtà. Cresciuto nel mito di Guglielmo Moretti e Roberto Bortoluzzi, di Enrico Ameri e Alfredo Provenzali, Cucchi ne divenne infatti collega, affiancandoli nelle cronache di alcune tra le più vive stagioni del calcio italiano, sino a sostituirli e a godere dell’onore di gridare al cielo di Berlino 2006 quel “Campioni del Mondo” che pare oggi così lontano.

Tra una pagina e l’altra, però, accanto al pallone sgomitano e brillano anche tanti altri sport, spesso etichettati come minori eppure celebrati da Cucchi con la stessa enfasi. È così che fra le trame della storia si fanno largo lo scatto di Ben Johnson a Seul ’88 – e quella corsa che sembrava presagire il futuro prima di sgonfiarsi tre giorni dopo, viziata dal doping -, i colpi degli inarrestabili fratelli Abbagnale – e quei remi che schiaffeggiavano l’acqua tingendola d’oro -, ma anche il fioretto di una ragazzina con 16 anni addosso e un mare di lacrime sul viso. Cucchi la consolò offrendole un gelato, ma Giovanna Trillini più tardi ne avrebbe versate molte altre… di gioia e con oltre 30 medaglie al collo.

Pur concentrato nell’inseguire le tante immagini che si affollano nella sua mente, Cucchi non dimentica comunque di imbastire un piccolo prontuario per il giovane giornalista, seminando consigli e accompagnando il lettore nei retroscena di un mondo tanti antico quanto misterioso come quello della radio. Accanto alla gaffe di un tecnico in regia che chiuse il telefono in faccia a Luciano Pavarotti scambiando per uno scherzo la chiamata del tenore italiano, emergono così decine di storie che strappano sorrisi ma anche commozione.

E se l’orrore dell’attentato di Atlanta 1996 rivive nel racconto della bomba esplosa durante un concetto jazz, tra gli aneddoti più dolci – oltre a quelli dedicati al tabacco e alla continua ricerca di spazi dove potersi dedicare al fumo di una bionda – non si possono certo tralasciare quelli custoditi nella lettera aperta indirizzata a Sandro Ciotti. Appassionato di carte, donne e camicie (non necessariamente in quest’ordine), uomo dotato di straordinaria ironia e di una tra le voci più riconoscibili del Novecento, Ciotti si scopre amante dello shopping. Durante le Olimpiadi di Seul, infatti, Riccardo racconta del felice incontro tra il maestro e le sartorie coreane. Un’occasione di cui approfittare per rinverdire il guardaroba, rinfrescandolo con le fantasie d’Oriente, senza però rinunciare agli inconfondibili colletti “dalle ali lunghe e strette”. Di questo e molto altro vive Radiogol, restituendo il ritratto di un uomo sereno. Non una parola fuori posto né un briciolo di livore, nessun sassolino nelle scarpe e ogni progetto realizzato, tranne forse quello di diventare un calciatore – nonostante una rete segnata da ragazzino a Giancarlo Alessandrelli, coetaneo di Cucchi e futuro vice di Zoff alla Juve. Ma in fondo, si sa, per tornare a sognare basta chiudere gli occhi. O accendere una radio.

Twitter: @Ocram_Palomo