Mafie

Aemilia, ultima udienza del maxi-processo per ‘ndrangheta in Emilia: verso la sentenza per 149 imputati

In Aula le ultime dichiarazioni spontanee degli uomini alla sbarra. Poi ritiro in Camera di Consiglio e sentenza attesa per i primi di novembre. Sotto accusa i capi e gli uomini della cosca Grande Aracri che si è stabilmente insediata nelle ricche province di qua e di là dalle sponde del fiume Po

Aemilia, il primo maxi processo per ‘ndrangheta in Emilia Romagna, è alle battute finali. Il presidente del collegio giudicante Francesco Maria Caruso ha chiuso il dibattimento del primo grado e nell’aula bunker di Reggio Emilia martedì 16 ottobre vanno in scena le ultime dichiarazioni spontanee degli uomini alla sbarra. Poi ritiro in Camera di Consiglio e sentenza attesa per i primi di novembre. 149 rinvii a giudizio, due anni e mezzo di processo, 300mila pagine scritte, 195 udienze, una sola proposta di assoluzione per prescrizione del reato e più di 1700 anni di galera chiesti per gli altri imputati nella requisitoria del 22 maggio dai pm Beatrice Ronchi e Marco Mescolini. Mentre a Bologna nel rito abbreviato oltre 300 anni sono già stati confermati in appello ad altri 90 imputati che attendono ora il pronunciamento della Cassazione previsto per il 24 ottobre.

Oltre due millenni di carcere in complesso, per 239 persone che debbono rispondere di 201 capi di imputazione: estorsioni, usura, incendi, frodi economiche e finanziarie, caporalato e sfruttamento di mano d’opera, riciclaggio e reimpiego di denaro sporco, possesso di armi e munizioni, affari illeciti in collusione con forze di polizia, funzionari e dirigenti di pubbliche amministrazioni, giornalisti e liberi professionisti della Regione Emilia Romagna.

Sotto accusa i capi e gli uomini della cosca Grande Aracri che si è stabilmente insediata nelle ricche province di qua e di là dalle sponde del fiume Po. Sono le 54 persone a cui è contestato il capo uno di imputazione, il 416 bis, appartenenza ad associazione mafiosa. In trent’anni di crescita inarrestabile hanno conquistato il monopolio degli affari sporchi nell’edilizia e offerto le risposte migliori alla dilagante domanda di soluzioni facili proveniente dall’economia locale. Perché sotto accusa sono anche tutti coloro che alla ‘ndrangheta si sono rivolti per abbattere le tasse e aumentare i profitti, per ottenere provviste di contanti e vincere gli appalti, per eludere norme e controlli alterando le regole di mercato.

Tre uomini imputati di Aemilia, Giuseppe Giglio, Antonio Valerio e Salvatore Muto, hanno deciso di collaborare con la giustizia a processo in corso, primo caso nella storia della ‘ndrangheta, portando conferme e nuovi elementi che rafforzano l’impianto accusatorio frutto di anni di indagini e intercettazioni. Grazie a loro e ad altri pentiti, primo fra tutti Angelo Salvatore Cortese, ex braccio destro di Grande Aracri, sono stati aperti nuovi fascicoli ed è iniziato il processo Aemilia 92 sugli omicidi che in provincia di Reggio segnarono l’inizio della guerra per il controllo del territorio. La combatterono i Dragone/Grande Aracri contro le famiglie Ruggiero e Vasapollo, con l’appoggio economico degli Arena e dei Ciampà; fu il primo passo verso la conquista totale dell’Emilia occidentale da parte di Nicolino Grande Aracri che terminò il lavoro il 10 maggio 2004 facendo uccidere Antonio Dragone sulla strada che in provincia di Crotone conduce da Cutro verso il mare. Nei giorni scorsi al rito abbreviati di Bologna Nicolino Sarcone, ritenuto ancora oggi benché in carcere il capo a Reggio Emilia della ‘ndrangheta cutrese, è stato condannato a 30 anni per l’omicidio di Giuseppe Ruggiero. Antonio Valerio, che faceva parte del commando di finti carabinieri sceso a Brescello per ucciderlo, a otto. Altre quattro persone, tra cui il boss Nicolino Grande Aracri, hanno scelto il rito ordinario e risponderanno di omicidio volontario a partire dal 12 febbraio prossimo.

Ma l’importanza del processo Aemilia va oltre la ricostruzione del passato, perché racconta il presente e delinea il futuro della penetrazione mafiosa nel nord Italia. La ‘ndrangheta non ha nostalgia dei riti passati, ci raccontano le storie trattate in aula, e sa coniugare tradizione e modernità. Oggi è una ‘ndrangheta 5.0, come dice il collaboratore Antonio Valerio, moderna, tecnologica, evoluta. Che si affida alle donne, “cordone ombelicale della cosca” se gli uomini sono in carcere, che non molla il territorio e se lo contende, tanto che nuove famiglie sono pronte a subentrare ai Sarcone a Reggio Emilia o ai Diletto a Parma. E potranno esserci nuovi spargimenti di sangue, dice sempre Valerio, perché il territorio fa gola ma se altri vorranno prenderne il controllo “dovranno farlo con le armi”.

L’udienza n. 194 del processo, l’11 ottobre scorso, ha consentito a tutti di ascoltare in video conferenza la dichiarazione spontanea del collaboratore di giustizia che a lungo gli avvocati avevano cercato di smontare durante le loro requisitorie. Valerio ha parlato tre ore, leggendo un memoriale e attaccando, più che difendendosi. I messaggi che lascia alla comunità locale, prima della sentenza, non autorizzano alcun ottimismo. Il processo inchioda in carcere i responsabili della cosca Grande Grande Aracri, ma fuori in Emilia, ha dichiarato Valerio, “non è finito niente”. E le nostre città, dice, restano “sotto scacco”: “La ‘ndrangheta è una holding in continua evoluzione e non saranno certo le condanne del processo Aemilia a mettere fine al suo radicamento a Reggio Emilia“.