Lobby

Banca Carige, verso la resa dei conti tra Malacalza e la cordata di Mincione. Il finanziere per cui lavorò Conte

Il nome di Mincione è diventato popolare per il caso Retelit: il premier firmò una perizia sul golden power poco prima di insediarsi a Palazzo Chigi. In seguito il governo ha esercitato i poteri speciali. Mincione si era rivolto a Conte su consiglio di Luigi Bisignani, indagato nella vicenda Parnasi-Lanzalone sullo stadio della Roma

Sono ore decisive per il futuro di Banca Carige. Per il 20 settembre è attesa un’assemblea di fuoco in cui si affronteranno due schieramenti: da un lato ci sarà l’industriale Vittorio Malacalza, che ha circa il 27% della banca; dall’altro un patto fra soci (15,19%) capitanato dal finanziere Raffaele Mincione. Intanto però il clima si è già surriscaldato: Bankitalia ha congelato al 10% la quota che fa capo a Mincione e ai suoi alleati, il petroliere Gabriele Volpi e l’imprenditore della logistica e patron del Livorno Calcio, Aldo Spinelli. E la storia si mette male. Salvo che Mincione & company non chiedano e ottengano il via libera dalla Banca centrale europea per utilizzare l’intera quota posseduta nella prossima assemblea come vuole Bankitalia. La strada non è affatto in discesa dal momento che la Bce non vede di buon occhio i trust con sede in Jersey come quello con cui è presente Mincione nel capitale di Carige. Per non parlare delle indiscrezioni che, secondo quanto riferito dall’Espresso dello scorso 8 maggio, parlano di indagini per autoriciclaggio a carico di Volpi e del suo advisor, Gianpiero Fiorani, ex numero uno della Popolare di Lodi al centro dello scandalo dei furbetti del quartierino dei primi anni 2000.

Comunque vada, non ci vorrà molto per sapere come andrà a finire per la banca genovese spinta sull’orlo del precipizio dalla gestione dell’ex presidente, Giovanni Berneschi. Intanto è certo che Mincione sta facendo di tutto per mantenere in sella l’attuale numero uno, l’ex banchiere Unicredit, Paolo Fiorentino, che vorrebbe far convolare subito Carige a nozze con un’altra banca. Magari Ubi o Bpm, che pure si sono chiamate fuori dalla partita. Come è intuibile, l’obiettivo non è facile da realizzare. Ecco perché Mincione è da tempo alla ricerca di sostenitori fra amici del mondo della finanza, delle lobby e della politica. Entrature che di certo non mancano al finanziere, originario di Pomezia.

Come dimenticare del resto che il nome di Mincione è diventato popolare in Italia per il caso Retelit? E cioè per una vicenda che ha messo in imbarazzo il governo gialloverde a causa di una perizia sul golden power rilasciata da Giuseppe Conte poco prima di diventare premier. Imbarazzo suscitato non tanto dal potenziale conflitto d’interessi dell’avvocato Conte, che, da premier, ha poi accolto i dubbi dell’ex cliente. Ma piuttosto dal fatto che Mincione conosce l’attuale premier attraverso lo Studio Alpa, segnalato da Luigi Bisignani, indagato nella vicenda Parnasi-Lanzalone sullo stadio della Roma. Un biglietto da visita decisamente scomodo per le forze politiche di governo, indispettite anche dalla stessa figura di Mincione, ben noto nella City. Ma anche in Lussemburgo, a Malta, a Cipro. E naturalmente a Roma e al Vaticano dove può contare sui buoni uffici del cardinale Giovanni Angelo Becciu, sostituto per gli Affari generali della Segreteria di Stato e delegato speciale presso il Sovrano Militare Ordine di Malta.

Gli amanti del gossip nella City ricordano che a Londra Mincione è celebre soprattutto per essere stato il banchiere italiano che flirtava con Heather Mills, l’ex moglie di Sir Paul McCartney. Eppure non si può dire che nella capitale inglese Mincione se ne sia stato con le mani in mano. Con una certa dose di “Bottadiculo” (questo era il nome evocativo dato alla sua barca di 12 metri), il finanziere, classe 1965, ha cavalcato l’onda del boom del mercato finanziario degli anni ’80 e ’90 lavorando per Goldman Sachs al Crédit Lyonnais Euro-securities fino all’Industrial bank of Japan, Nomura, Merrill Lynch e Citigroup. Finché, a soli 36 anni, non ha deciso di mettersi in proprio creando una società specializzata nell’acquisizione di debiti di aziende decotte. E’ stata la prima avventura in solitario cui seguirà anni dopo la creazione della Capital Investment Advisor e successivamente dell’azienda di gestione patrimoniale WRM Group.

Il vero colpo di fortuna è arrivato nel 2009 quando, complice la crisi post crac della banca Lehman Brothers, Mincione è riuscito ad acquistare un immobile di pregio a Knightsbridge, esclusivo quartiere nel cuore londinese vicino ad Hyde Park: dopo una serrata trattativa, il finanziere italiano ha chiuso l’affare per 18 milioni, pagando la metà del prezzo chiesto inizialmente dal proprietario dell’immobile. L’operazione gli ha dato una visibilità insperata sia sulla piazza londinese che su quella italiana dove Mincione non ha mai smesso di coltivare le amicizie che contano. Del resto, per un gestore di grandi patrimoni, i salotti fanno parte del business. Anzi, per meglio dire, lo alimentano continuamente attraverso nuove conoscenze che apprezzano i paradisi fiscali e amano i suoi investimenti. In quali luoghi? In Gran Bretagna, Russia, Cipro, Caraibi e soprattutto a Malta dove c’è una scuderia di fondi a marchio Eurasia. Nome quest’ultimo che ricorre più volte nelle carte delle autorità di Vigilanza (Consob e Bce) che a partire dal 2015 hanno indagato sulla Popolare di Vicenza, finita poi in liquidazione lo scorso anno.

Amante del jet-set e appassionato di vela, il finanziere di Pomezia è tornato al centro della cronaca finanziaria italiana fra il Natale e il Capodanno del 2011. Lo ha fatto lanciandosi nell’avventura Bpm, appena conquistata da un altro finanziere rampante, Andrea Bonomi. A suo dire, quell’8% di Bpm pagato, secondo le cronache del tempo, circa 60 milioni, era un ottimo affare. Ma per il parlamento c’era un problema: l’origine dei capitali investiti da Mincione. Una “quota importante della Bpm, ben l’8,2 per cento del capitale, risulterebbe far capo al dottor Raffaele Mincione per il tramite di un sistema di società, trust e off-shore; – scriveva il deputato Alberto Giorgetti in un’interrogazione del 29 aprile 2013 – da oltre un anno, stando alle notizie di stampa, la Consob starebbe indagando sul groviglio di partecipazioni (..) che fa capo al finanziere italo-americano per appurare a chi farebbero realmente riferimento tali società; a tutt’oggi non sono stati resi noti al mercato (…) gli esiti della predetta indagine Consob”. Alla fine si scoprirà che quel denaro proveniva in parte dalla Fondazione Enarsarco, la cassa di previdenza di agenti e rappresentanti, che ha investito nei problematici fondi Athena, finanziatori della Time and Life di Mincione.

Un rapporto, quello tra Enasarco e il finanziere romano con base a Londra che, secondo quanto scritto da Repubblica il 29 novembre 2013, ha portato nella disponibilità di Mincione ben 185 milioni di euro grazie al rapporto privilegiato con Giovanni Maggi e Alfonsino Mei, candidato da Mincione proprio nella lista per il nuovo cda Carige. Di questi 185 milioni, secondo quanto riferiva il giornale, 140 milioni sono stati utilizzati per la “scalata” del finanziere alla Banca Popolare di Milano che, nel 2016, si è fusa con il Banco Popolare. Mincione ne è ancora socio con una quota sotto il 2%, ma non è chiaro se ci abbia guadagnato qualcosa dal momento che, come ricorda il settimanale L’Espresso del 16 marzo scorso, i segreti sulle compravendite sono custoditi dai bilanci in Lussemburgo. Altri 20 milioni legati in qualche modo ad Enasarco sono stati invece investiti e in buona parte bruciati da Mincione nell’investimento in Monte dei Paschi di Siena. Banca Carige è quindi solo l’ultima preda di una serie di raid bancari nella Penisola. Un investimento che, in ogni caso, Mincione dovrà trovare il modo di far fruttare. Ma forse ci vorrà una nuova “Bottadiculo”. O qualcosa che le assomigli molto da vicino come, ad esempio, la perdita di al massimo 1,5 milioni che, secondo quanto riferisce La Stampa del 18 settembre, Carige subirà a causa del concordato della debitrice Omba Impianti & Engineering di Vicenza, controllata da Malacalza. “La crisi di Omba deriva da una crisi dei grandi committenti e del mercato infrastrutture che ha determinato mancati pagamenti a Omba di lavori regolarmente eseguiti. Quindi si è reso necessario il concordato che, nel rispetto delle regole previste a tutela di tutti i creditori, porterà al pagamento del 25% degli importi dovuti“, spiega una nota dei soci di Omba. E poi conclude: “Il rapporto fra Omba e Carige nasce nel 2012 ed è quindi antecedente l’investimento di Malacalza nell’istituto bancario”.

Aggiornato da redazioneweb il 21/09/2018 alle 16.48

Riceviamo e pubblichiamo la seguente precisazione della Fondazione Enasarco

La Fondazione Enasarco intende rimarcare la totale estraneità rispetto alle vicende che coinvolgono Raffaele Mincione e, nel contempo, chiede che vengano precisati i seguenti punti:

1)   nel 2011 la Fondazione Enasarco deteneva asset nei fondi Athena facenti capo alla Time&life di Raffaele Mincione, investimento per la maggior parte relativo alla ex nota “Anthracite”, ceduta al Fondo “Europa Plus”;

2)  il riferimento che l’articolo fa a Giovanni Maggi, attuale vicepresidente della Fondazione, e ad Alfonsino Mei, membro del CDA, è del tutto errato, in quanto entrambi sono stati eletti solo nel 2016 dall’Assemblea dei delegati degli iscritti Enasarco. Nel 2011 essi non avevano alcun rapporto con la Fondazione Enasarco, né tantomeno con i Fondi Athena;

3)  Nel 2012, all’esito di una dettagliata due diligence da parte del gestore del Fondo Europa Plus, i fondi sono stati oggetto di una profonda ristrutturazione che ha rimosso una serie di criticità tra cui l’opacità nell’investimento, il domicilio in paradisi fiscali, l’elevata concentrazione degli investimenti in finanziamenti e bond ad una società lussemburghese, in prevalenza utilizzati per finanziare l’acquisto di partecipazioni bancarie significative senza alcuna garanzia di recupero dei capitali per la Fondazione;

4)  Nel 2015 i fondi Athena sono stati liquidati, con restituzione (cash) dei capitali alla Fondazione senza registrare perdite rilevanti.

La nostra risposta

La Fondazione Enasarco ci scrive per puntualizzare che effettivamente aveva in portafoglio i fondi Athena e che poi li ha venduti. L’ente che gestisce le pensioni di agenti e rappresentanti di commercio aggiunge poi che il vicepresidente Giovanni Maggi e Alfonsino Mei, candidato nella lista di Mincione per Carige, non erano in Enasarco nel 2012-2015, ma sono arrivati nel 2016. Ci scusiamo per l’imprecisione temporale. Resta il fatto che Mincione, che ha utilizzato i fondi di Enasarco per Bpm, ha due amici nella Fondazione che  ha venduto  i fondi del finanziere di Pomezia   “senza registrare perdite rilevanti”.

Fiorina Capozzi