Donne

Anastacia compie 50 anni, è la perfetta narrazione rosa del cancro al seno

Non è certo colpa della nota popstar Usa, che festeggia oggi i suoi 50 anni, se la sua storia oncologica si presta perfettamente alla narrazione mainstream del tumore al seno. Una narrazione edulcorata, positiva, vincente. Rosa insomma: tonalità “pinkwashing”. Leggendo gli articoli italiani il messaggio è chiaro e univoco: il tumore al seno si deve combattere con coraggio e la prova che le guerriere guariscono viene data elencando tutte le celebrità che hanno “vinto” la malattia.

Tra cui Anastacia, che nel 2013 ha subito l’asportazione di entrambi i seni: lo stesso anno in cui Angelina Jolie affrontava tra mille polemiche italiane lo stesso intervento a scopo preventivo, essendo ad alto rischio di malattia a causa di una mutazione genetica (Brca1). La foto di Anastacia che ho visto più girare sui media è frontale, con i seni parzialmente nascosti (nessuna cicatrice è visibile mentre si può apprezzare un generoso décolleté).

Con entusiasmo si celebra il suo attivismo e l’ostentata filosofia del “think positive” che si inserisce perfettamente nel solco dell’immagine della guerriera. Anastacia esorta a fare controlli anche in età giovanile perché “salva la vita”; a concentrarsi sulle prime tre lettere di cancro: “Can, potere; ad alimentarsi correttamente e soprattutto a ridurre lo stress (qualcosa non proprio alla portata di tutte). Un mix di convinzioni personali e indotte, ben poco basate sull’evidenza scientifica.

Confesso che a me, senologa, è stato assai difficile ricostruire la storia clinica di Anastacia che ho ricomposto da varie fonti come un puzzle. Per quel che ho trovato è andata così: nel 2002 a 34 anni Anastacia decide di sottoporsi a un intervento estetico di riduzione del seno troppo voluminoso. Prima dell’intervento viene richiesta una mammografia che rivela microcalcificazioni sospette nel seno sinistro.

Si tratta di una neoplasia duttale in situ: ovvero non di un vero e proprio cancro al seno, perché confinato alla ghiandola mammaria senza possibilità di dare metastasi e quindi non a rischio vita. L’intervento plastico asporta anche la lesione, cui segue radioterapia per prevenire recidive locali. Niente chemio o ormonoterapia, trattamenti che incidono sulla qualità di vita delle donne con cancro vero, quello infiltrante. Quindi una vittoria sul tumore abbastanza scontata e a basso costo. Dopo due anni viene sottoposta a biopsie multiple per una lesione benigna.

Dieci anni dopo il primo tumore, arriva la diagnosi di neoplasia controlaterale, di nuovo tumore in situ. La scelta di trattamento chirurgico è mastectomia bilaterale con una ricostruzione che utilizza i muscoli dorsali (sulla schiena, con due importanti cicatrici oltre a quelle sui seni), scelta dovuta almeno in parte alla precedente radioterapia.

Domanda: può una donna affetta da tumore in situ in entrambe le mammelle considerarsi una “cancer survivor?” Una sopravvissuta che non ha mai fronteggiato una patologia a rischio vita, che non conosce chemio e ormonoterapia, che non prova l’angoscia del rischio di progressione metastatica, possibile nei carcinomi infiltranti anche dopo oltre 20 anni, come è successo a Olivia Newton John? Che compare tuttavia nelle carrellata delle celeb che hanno “vinto”, quando quello che Olivia ha vinto è una progressione metastatica senza attuale prospettiva di guarigione.

Non sia mai detto così crudamente. Lei “non smette di lottare: credo che lo vincerò. Questo è il mio obiettivo”.

Eppure Anastacia è considerata un’eroina: la sua vittoria è celebrata nell’album “Resurrection”, 2014. E’ la seconda donna al mondo dopo Annie Lennox a ricevere l’Humanitarian Award per l’impegno con la sua fondazione The Anastacia fund. Nel 2016 a Londra le viene consegnato il premio The global gift our heroes award in riconoscimento del suo impegno filantropico e dei suoi successi professionali.

Quanto si è sforzata Anastacia per aderire allo stereotipo dell’eroina contro il cancro al seno? L’idea delle foto nuda, su Instagram, è coraggiosa. Ma non racconta tutta la verità. Per arrivare a un risultato esteticamente ottimale dopo mastectomia bilaterale sono seguite altre dieci operazioni e cinque procedure ambulatoriali per tornare a riconoscersi allo specchio. Le cicatrici sul seno non si vedono in alcuna foto di nudo, coperte da mano e braccio.

Sono mostrate invece quelle sulla schiena con un’evidente tecnica fotografica che esalta comunque l’estetica dell’immagine. Persino in una chirurgia così impegnativa con necessità di numerosi reinterventi viene fondamentalmente sottolineato il trionfo del risultato cosmetico, senza specificarne il prezzo.

La conclusione è l’evidente strumentalizzazione delle star animate dalle migliori intenzioni per insistere sui controlli (anche inappropriati), che non sono prevenzione ma diagnosi precoce, secondo la ormai superata convinzione che sia l’unica strategia per vincere il cancro al seno. La semplice verità mai comunicata con chiarezza è che minimizzare l’impatto sulla qualità di vita e il rischio di morte del tumore al seno allontana da una reale soluzione. L’incidenza è in aumento, mille donne ogni mese in Italia muoiono per progressione metastatica. Si tratta di un’emergenza che le politiche sanitarie trattano da sempre con una superficialità che, ne sono certa, sarebbe inconcepibile se la patologia oncologica più frequente nel sesso maschile aggredisse un uomo su otto e ne causasse la morte nel 25% circa dei casi.