Giustizia & Impunità

Federico Aldrovandi: questore Sbordone, non esistono gli angeli del taser

Caro questore Sbordone, ho letto la sua intervista al Resto del Carlino di Reggio Emilia. Ci siamo conosciuti durante la sua direzione della questura di Ferrara. La ricordo uomo serio e professionista preparato.

Capirà che fatico ad attribuire alla sua bocca quella frase sul taser che avrebbe salvato Federico Aldrovandi. Lei è stato nella nostra città per quasi due anni. Qualche idea su cosa successe 13 anni fa se la sarà pur fatta. Se non altro perché quel caso giudiziario di omicidio colposo, e quelli che ne seguirono per omissioni e depistaggi, accaddero entro quelle mura dove ha sostato quasi due anni.

Come può dire che se quei quattro poliziotti avessero avuto il taser Federico sarebbe ancora vivo? È consapevole del fatto che il massacro vero e proprio cominciò quando il ragazzo era ormai prono, ammanettato, inoffensivo? È consapevole del fatto che quel giovane di appena 18 anni gridava “aiuto” e “basta”? Lo gridava rantolando. Difficile urlare come si deve con due poliziotti distesi sul dorso che ti spaccanno addosso gli sfollagente, una che ti tiene le gambe e uno che ti prende a calci il cranio. E parliamo di taser…

Parliamo di taser quando una delle volanti aveva un defibrillatore nel bagagliaio e non lo utilizzò. Parliamo taser quando l’ambulanza venne chiamata dopo che quel cuore aveva ormai smesso si sbattere.

Caro questore Sbordone, è scritto in tutte le sentenze che la morte di Federico (che, detto per inciso, non doveva essere fermato nemmeno con un taser dal momento che era incensurato e non stava commettendo alcun reato) non ha nulla a che vedere con la colluttazione e il contenimento.

Secondo lei sarebbe servito il taser a evitare le 54 lesioni riscontrate sul corpo di Federico? Sa, ciascuna di quelle 54 ferite era idonea, secondo il giudice di primo grado “a dare corso singolarmente ad un procedimento penale per lesioni”. Quelle 54 lesioni, scrive sempre il tribunale di Ferrara, “ne hanno deformato l’aspetto” e “evidenziano la grossolanità e l’incontrollato e abnorme uso della violenza fisica da parte degli agenti, dissociata da effettive necessità del momento”.

Si chiederà – visto che quella sentenza non l’ha letta – cosa intendesse il giudice con aspetto deformato. Sa, le prime informazioni uscite dalla questura parlavano prima di overdose, poi di un malore, poi di un ragazzo scaricato dagli amici dall’auto in corsa. D’altronde era difficile giustificare quel corpo tumefatto, quel volto sfigurato. Sa che Franco, lo zio di Federico, cui spettò l’ingrato compito di riconoscere il corpo all’obitorio, chiese se fosse stato investito da un camion?

E lei mi tira fuori il taser? Forse il taser sarebbe servito per fermare chi ingaggiò un violento corpo a corpo, in quattro contro uno, spezzandogli addosso due manganelli. Sa che quei manganelli vennero ripuliti per bene e nascosti? Sa che si è appreso della loro rottura solo cinque mesi dopo grazie a una interrogazione parlamentare?

Già, perché il “caso Aldrovandi” è diventato tale soprattutto per quello che ne è seguito. Vale a dire una parte di procura e una parte di questura che hanno consapevolmente nascosto la verità. E difeso sin dal primo secondo i colleghi. Alcuni li hanno anche applauditi. Magari immaginavano che con il nuovo strumento di deterrenza in mano potessero diventare angeli del taser.

Ma i suoi angeli del taser, a miracolo compiuto, non hanno poi “voluto squarciare il velo della cortina di manipolazioni delle fonti di prova, tessuta sin dalle prime ore di quel 25 settembre 2005” (sentenza di Appello). I suoi angeli del taser sono stati definiti dal procuratore generale presso la Cassazione come “schegge impazzite”, in preda a “una sorta di delirio”.

Non so, questore Sbordone, cos’altro aggiungere. So che a Ferrara lei non ha mai incontrato la famiglia Aldrovandi. Si sarebbe accorto che il padre di Federico, Lino, conta ancora a memoria quanti giorni sono passati da quel 25 settembre di 13 anni fa. Si sarebbe accorto che la madre, Patrizia, evita quando può di parlarne, perché non ce la fa più.

Tanti anni di lotta li hanno prosciugati. Quella lotta era necessaria per far scrivere a un tribunale che Federico era un giovane come tanti. Con la differenza che è morto “dopo uno scontro fisico violento con quattro agenti di Polizia – cito le conclusioni del giudice Francesco Maria Caruso – senza alcuna ragione effettiva”.

Ha capito questore Sbordone? Senza alcuna ragione effettiva. Ecco perché, questore Sbordone, le rivolgo una preghiera. Se non vuole rispettare le sentenze, rispetti almeno il loro dolore.

Grazie.