Fatti a motore

Astronavi come auto da corsa, per la Nasa la tentazione si chiama pubblicità

Il direttore dell'agenzia spaziale americana sta pensando di vendere i diritti pubblicitari dei veicoli spaziali, per far fronte ai costi crescenti. Ma addetti ai lavori e astronauti non sono d'accordo, perché violerebbe il regolamento etico. La fattibilità dell'iniziativa verrà decisa da un'apposita commissione

Ma voi ve lo immaginate uno Space Shuttle che prima di sparire in orbita a 6 mila km/h mostra su un bell’adesivo targato Red Bull? Oppure un Luca Parmitano qualsiasi che, in stile Chiara Ferragni, fa il testimonial di un brand di intimo o magari di Netflix, su un cartellone pubblicitario nei sotterranei della metro… beh voi magari non ve lo immaginate, ma Jim Bridenstine, amministratore dell’agenzia spaziale americana, sì.

L’ultima trovata “made in USA” arriva in un periodo di incertezza per la NASA che non sa se l’intenzione di Trump di mettere fine ai finanziamenti potrà avere un’effettività, pure se osteggiata per il momento dal Congresso. E si sa, incertezza spesso va di pari passo con “rinnovamento”, così ecco il colpo di genio di Bridenstine: vendere i diritti pubblicitari dei veicoli e razzi spaziali vari per recuperare i costi cui è soggetta l’Agenzia.

Bridenstine sembra piuttosto entusiasta, un po’ meno i suoi collaboratori e gli stessi astronauti, poiché fino a questo momento il regolamento etico ha proibito di usare l’ufficio pubblico per guadagni personali. Al Washington Post che ha raccolto le sue dichiarazioni, l’amministratore dell’agenzia ha specificato che per il momento si tratta solo di un’idea della quale non si sa ancora nulla: a tal proposito è stata creata una commissione specifica per valutare la questione.

Nel frattempo, però, sono arrivate più voci di ex astronauti che hanno tenuto a replicare alle dichiarazioni di Bridenstine, specificando che loro non trovano giusto il raccomandare, da parte della NASA, un prodotto piuttosto che un altro; altri invece riconoscono come l’idea sia totalmente fuori dagli schemi entro cui l’agenzia si è tenuta finora, ma che è comunque un modo di stare al passo col mondo di oggi, come ha affermato Michael Lopez-Alegria.

“Vorrei vedere bambini che invece di voler diventare delle celebrità dello sport, volessero essere degli astronauti o ricercatori della NASA”, le toccanti parole di Jim Bridenstine. Di bambini che sognano di fare gli astronauti ne è pieno il mondo, magari bisognerebbe saperli accompagnare fino a quel punto; ma questa è un’altra storia. Sta di fatto che oggi è la pubblicità a tirare le fila del business mondiale: forse, anche per la NASA è arrivato il momento di adeguarsi.