Politica

Pd, per ricostruire la sinistra dobbiamo guardare a New York. E a Zingaretti

Anche nell’architettura sono un fan della building redevelopment, né una demolizione tout court né una restauro pedissequo di quello che c’è, ma l’estrazione del bello da ciò che ha ormai esaurito la sua funzione e la trasformazione in qualcosa di nuovo e funzionale. Anche perché in ciò che è stato importante in passato c’è sempre qualcosa da salvare: uno tratto di stile, un valore storico, simbolico. Chi fugge dal passato, senza da questo apprendere nulla, potrebbe finire per sostituire a qualcosa di di decadente qualcos’altro di altrettanto deprimente. Da un oggetto del passato, anche se ridotto ormai in brandelli si può ripartire per costruire qualcosa di nuovo, conservando l’anima e qualche tratto caratterizzante e cambiando tutto il resto.

Pensate alla High Line di New York, il tracciato soprelevato della vecchia metropolitana di superficie costruita negli anni 30 e dismessa già negli anni 80. Una struttura di cemento e ferro su cui correva un treno che, come il Loop a Chicago, faceva tremare i grattacieli della grande mela. Un oggetto inutile ai nostri giorni, piloni e binari che col tempo sono stati avvolti dalla sterpaglia. Invece di demolire interamente quella struttura, per far spazio a parcheggi, altri palazzi, centri commerciali, si è deciso di salvarne una parte per creare una bellissima promenade verde. Un luogo di pace che permette di attraversare, a piedi, uno dei quartieri più densamente abitati del mondo.

Il Partito Democratico oggi è un decadente oggetto coperto da una fitta sterpaglia. Come un edificio post-industriale ha esaurito, così com’è, la sua funzione storica. Abbandonato da gran parte degli elettori e da buona parte anche dei suoi stessi militanti, appare come una struttura semivuota dove è parcheggiata una classe dirigente che cerca di rimandare, il più a lungo possibile, il momento di prendersi le proprie responsabilità.

Noto che la voglia di disfarsi di questo vecchio oggetto comincia a manifestarsi in molti, con la rassegnazione di chi vuol lasciare (almeno per il momento) i vincitori di questa nuova stagione politica a spartirsi tutto e poi “si vedrà”. Non è il mio caso. Io nel Partito Democratico vedo ancora qualcosa da salvare e da cui ripartire. Qualcosa di cui, a mio modesto parere, difficilmente si può fare a meno e cioè un massaggio di fondo che non è parte del patrimonio valoriale di nessuno degli altri partiti italiani. E’ l’idea che il progresso della società non lo si può costruire nella lotta gli uni contro gli altri, ma solo insieme.

Fuori dal Pd si sente tutta un’altra musica. Gli Stati nazionali contro l’Europa, gli Stati contro gli altri Stati, la società contro la casta, i ricchi contro i poveri e tutti contro gli immigrati. Ecco le contrapposizioni su cui prosperano gli altri partiti. A questo modello di costruzione del consenso, deve necessariamente contrapporsi un’altra visione che metta al centro la solidarietà e l’uguaglianza.

Penso che ci sia una parte di elettorato che sosterrebbe questa visione se fosse più chiara e meno difensiva e penso che potrebbe diventare maggioritaria, col tempo, se alimentata con buone proposte. Difendere l’Europa dai fanatici del no-euro, difendere gli immigrati dai razzisti, difendere la scienza dall’antiscienza dei no-vax non basta, perché all’impopolare difesa nella quale si affanna il Pd, non segue mai una proposta. Se sostieni il valore dell’Unione Europea, per dirne una, e non riconosci che oggi è in crisi e che ha bisogno di una proposta nuova per ritrovare credibilità, fai solo un favore ai suoi detrattori. Insomma serve una visione alternativa di futuro che oggi semplicemente non si vede.

Purtroppo oggi si vede soltanto il tentativo di qualche dirigente del Pd di sopravvivere aspettando “che passi la nottata” e che il governo abbia qualche inciampo, magari giudiziario. Questa cosa mi ricorda l’infinita attesa della condanna che avrebbe dovuto definitivamente estromettere Berlusconi dalla scena politica. Passavano gli anni e non arrivava mai e, alla fine, anche quando è arrivata, non è cambiato nulla. Serve quindi un cambiamento radicale che estragga il bello dalla macerie del Pd e su questo costruisca qualcosa di diverso. Da dove partire per questa operazione di “riqualificazione”? Io credo si possa cominciare da struttura, modi di fare e volti.

Per quanto riguarda la prima è ovvio che il modello non possa essere né quello della “ditta” bersaniana né il “partito personalizzato” alla Renzi. Oggi per competere con la “bestia” – l’algoritmo con cui Salvini macina visualizzazioni e consenso – e con la rete virtuale del M5s serve un partito in grado di stare dove la gente discute tutti i giorni e non solo nelle sezioni di partito e nelle tv nazionali. Far partecipare, far discutere, far decidere.

Poi basta con questi modi di fare che hanno molti dirigenti del Pd, a cui è venuta la sindrome della maestrina: “Questo non si può fare”, “l’Europa ha detto di no”, “la reazione dei mercati”, “le leggi, le convenzioni internazionali”. E’ vero che questo Paese ha bisogno di gente professionale, ma la politica non può usare il linguaggio e i temi dei professionisti della tecnocrazia. Le scelte in politica si prendono perché sono giuste o sbagliate, non perché c’è qualcun altro che ci obbliga a prenderle. Anche perché il cambiamento, in meglio, della situazione data è l’essenza stessa del fare politica.

Mi piacerebbe vedere un Pd che non usasse più frasi come “la flat tax non si può fare perché non tornano i conti” ma che invece dicesse “la flat tax non va fatta perché toglie risorse ai lavoratori per darle a chi guadagna di più” e che allo stesso tempo mettesse in campo una proposta altrettanto chiara per lo sviluppo del Paese. Del bisogno di volti nuovi ho già parlato, sostituire una classe dirigente spesso mediocre e presuntuosa è una priorità. E’ necessario cominciare dal leader, deve essere nuovo, deve essere in discontinuità con quello che c’è stato finora e deve essere scelto con delle primarie aperte.

Io ho già scelto chi sostenere. Ci ho pensato ma la scelta è venuta naturale, ho scelto l’unico che non ha aspettato l’investitura di Renzi per uscire allo scoperto. Ho scelto Nicola Zingaretti. Delle mie motivazioni parlerò nei prossimi post, ma due cose mi hanno particolarmente colpito di lui e del suo progetto: è credibile ed è coraggioso. E serve molto coraggio e molta credibilità per costruire qualcosa di bello sulle macerie di questo Pd.

@lorerocchi