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Conti pubblici, così il nervosismo dei mercati su Roma è costato all’Italia 120 milioni in quattro giorni

Se l’incremento dovesse protrarsi per un intero anno, in base alle simulazioni dell'Ufficio parlamentare di bilancio, il costo degli interessi salirebbe di circa 2 miliardi di euro. Nel secondo anno il conto salirebbe di 4,5 miliardi. Nel terzo di 6,6 miliardi. In tre anni una spesa aggiuntiva di 13 miliardi. Quanto basterebbe per una riforma importante del sistema pensionistico o per un imponente piano di miglioramento delle infrastrutture

I tassi salgono, i soldi nelle casse pubbliche scendono. Purtroppo la dinamica è semplice, ad ogni asta di titoli di Stato con rendimenti in salita cresce il conto che il Tesoro è tenuto a pagare ai suoi creditori. Prendiamo i casi più recenti. Martedì scorso sono stati collocati CTZ con scadenza 2020 per 1,7 miliardi di euro, con un tasso salito all’1,27% dallo 0,64% di luglio o dal meno 0,2% di aprile. L’Italia dovrà quindi pagare interessi su questi titoli per 22 milioni di euro l’anno, mentre fino a qualche mese fa si finanziava a costo zero. Mercoledì sono stati collocati sul mercato BOT a 6 mesi per 6 miliardi di euro con rendimenti dello 0,48%. Un costo di finanziamento per lo Stato di un’altra ventina di milioni di euro, mentre con i tassi negativi di aprile (-0,4%) cinque mesi fa ne avrebbe guadagnati altrettanti (rimborsando alla scadenza del titolo una somma leggermente inferiore rispetto al prezzo di acquisto).

E così in due giorni ci siamo bruciati 40 milioni, più o meno l’ipotetico risparmio del taglio ai vitalizi degli ex parlamentari. Poi c’è stata l’asta più delicata e più sintomatica del modo con cui gli investitori guardano ad un Paese. Il Btp a 10 anni è stato collocato ieri con un rendimento del 3,2%, il massimo dal 2014, quando solo lo scorso aprile pagava l’1,8%. Per i 2,2 miliardi di titoli collocati significa un esborso aggiuntivo in interessi, rispetto quanto avremmo pagato 4 mesi fa, di 30 milioni l’anno. In rialzo anche il rendimento dei Btp a 5 anni che sale al 2,4% dallo 0,68% di aprile per i 3,7 miliardi di titoli collocati. Risultato: 52 milioni in più all’anno a carico dello Stato. Circa 120 milioni in quattro giorni.

Sono gocce nel mare dei 65 miliardi di interessi che ogni anno paghiamo sui nostri circa duemila miliardi di debito, rappresentato per la quasi totalità da titoli di Stato. Quelli a più lunga scadenza si trascinano ancora rendimenti più alti rispetto agli attuali. Ma goccia dopo goccia il livello della spesa finisce per salire in modo significativo, e doloroso. Tra quest’anno e il 2019 dovranno essere collocati sul mercato bond per 760 miliardi di euro. Da ottobre si azzereranno i nuovi acquisti della Banca centrale europea che si limiterà a rinnovare i titoli che giungono a scadenza. Un cambiamento importante, da un punto di vista psicologico prima ancora che strettamente contabile, che renderà più facile un aumento dei differenziali di rendimento, gli spread. Così come le pronunce delle agenzie di rating attese in autunno. Elementi che sono probabilmente in buona parte già “prezzati” nei valori dei nostri di titoli di Stato, ma accrescono il nervosismo con cui i mercati guardano al nostro Paese.

Stimare in modo preciso l’impatto che l’aumento dei rendimenti può avere sulle finanze pubbliche non è semplice poiché l’incremento si spalma lentamente sui titoli man mano che questi arrivano a scadenza e vengono sostituiti con nuove emissioni. Considerando che la durata media del debito italiano è di poco inferiore a 7 anni, per una sostituzione completa bisognerebbe attendere il 2025. Una simulazione è stata fatta dall’Ufficio parlamentare di bilancio che ha ipotizzato due scenari. Il primo prevede un incremento dello spread di 100 punti su tutte le scadenze. Ossia dai Bot a 6 mesi ai Btp a 30 anni. Una condizione non diversa da quella che abbiamo sperimentato in questi 4 mesi. Se l’incremento dovesse protrarsi per un intero anno, in base alle simulazioni UPB, il costo degli interessi salirebbe di circa 2 miliardi di euro. Nel secondo anno il conto salirebbe di 4,5 miliardi. Nel terzo di 6,6 miliardi. In tre anni una spesa aggiuntiva di 13 miliardi. Quanto basterebbe per una riforma importante del sistema pensionistico o per un imponente piano di miglioramento delle infrastrutture. L’Ufficio parlamentare tratteggia anche uno scenario più inquietante, stimando gli effetti di una crisi simile a quella del 2011 con incrementi dello spread differenti sui diversi tipi di titoli. Sette anni fa il differenziale di rendimento tra titoli italiani e tedeschi salì di 100-150 punti per i titoli a breve scadenza, di 200 punti per i titoli tra 1 e 5 anni e di 100 punti per quelli tra i 10 e i 30 anni. In questo caso l’impatto sarebbe ben più violento: 3 miliardi il primo anno, 7,7 miliardi il secondo, quasi 11 miliardi il terzo. Ventidue miliardi in 3 anni.

Al momento lo spread italiano oscilla intorno a quota 280 con un incremento di 60 punti in soli tre mesi mentre si sono ridotti i differenziali di Spagna e Portogallo. In maggio e giugno si è assistito ad una fuga di investitori esteri da asset italiani. Secondo le rilevazioni della Bce, tra maggio e giugno sono stati infatti venduti titoli italiani per circa 70 miliardi di euro. Un’emorragia in parte compensata da banche e istituzioni finanziare italiane che hanno comprato Bot e Btp per 40 miliardi di euro. L’abbuffata di bond italiana da parte delle banche nazionali è rallentata in luglio fermandosi a 4 miliardi, frenata che potrebbe lasciare intendere che anche gli ordini di vendita esteri siano diminuiti. Almeno per ora non si vede però traccia di quell’ “aiuto” che, secondo alcune ricostruzioni, sarebbe stato prospettato dal presidente Usa Donald Trump al nostro presidente del Consiglio. Tecnicamente non si capisce bene come dovrebbe concretizzarsi questo sostegno e al momento dagli Usa giungono semmai segnali si senso opposto. A interventi “sedativi” sullo spread che avvengono in mattinata da parte di operatori italiani seguono nel primo pomeriggio, flussi di vendita, che non di rado coincidono con l’apertura dei mercati statunitensi.

E’ il caso di ricordare che gli acquisti di titoli italiani da parte delle nostre banche e assicurazioni hanno si un effetto calmierante su spread e rendimenti ma legano le istituzioni finanziarie ai destini del Paese con lacci ancora più stretti. Appena i rendimenti dei titoli salgono, e i prezzi scendono, anche i bilanci delle banche entrano in sofferenza favorendo un ulteriore incremento dei tassi. Si innesca quindi un circolo vizioso che si auto alimenta, un effetto noto come “doom loop” o “abbraccio mortale”.