Scienza

Marte, è italiana la scoperta dell’acqua sul pianeta rosso. Ma perché ci sia vita servono tre cose

Un vero peccato. Di recente la stampa che ci riguarda non è particolarmente gratificante, il che rende ancora più spiacevole che non venga data la giusta evidenza a una notizia che ci onora come Paese. Il 3 agosto 2018 sul numero 6401 del volume 362, pagine 490-493 di Science, viene pubblicato un rapporto – prima firma Roberto Orosei dell’Istituto di Radioastronomia, presso l’Istituto nazionale di astrofisica di Bologna, seguita da altre 21, tutte di ricercatori e tecnici italiani che lavorano in Italia – dal titolo: Radar evidence of subglacial liquid water on Mars (Evidenza radar di acqua liquida subglaciale su Marte).

Da 30 anni se ne ipotizza la presenza e la si cerca. Con molta probabilità si è trovata grazie ai rilevamenti effettuati da Marsis, che sta per Mars Advanced Radar for Subsurface and Ionosphere Sounding Instrument. Marsis sta volando intorno a Marte a bordo del veicolo spaziale Mars Express dell’Esa, Agenzia spaziale europea e invia impulsi di onde elettromagnetiche a bassa frequenza verso il pianeta rosso. Alcune di queste onde vengono modificate a seguito dell’interazione con strutture sia di superficie che profonde di Marte e riflesse. Marsis, che altro non è che un radar ottimizzato per il rilevamento di strutture geologiche, raccoglie il segnale e lo trasmette a terra.

Il gruppo di ricerca italiano ha concentrato la propria attenzione sulla regione del polo sud del pianeta, chiamata Planum Australe perché ricoperto di ghiaccio e quindi di particolare interesse: visto che sulla Terra sotto forti spessori di ghiaccio ci sono laghi, perché non su Marte? Marsis però sul polo sud non ci si attarda troppo. Occorrono molti passaggi per raccogliere una significativa quantità di dati con cui poter lavorare. Occorre tempo.

A seguito di una modifica dei programmi di controllo effettuata nel maggio 2012 che ha consentito di elaborare le informazioni non più a bordo della sonda ma a terra, ottenendo così rilevazioni molto più dettagliate, dopo tre anni e mezzo e 29 scansioni, i nostri scienziati hanno osservato qualcosa di strano. A un chilometro e mezzo di profondità circa, lunga circa 20 chilometri e spessa almeno un metro, c’era un’evidente anomalia: un’eco, una riflessione delle onde elettromagnetiche, particolarmente intensa, con origine nella profondità del polo sud marziano, sotto 1600 metri di ghiaccio.

Particolarmente intensa e strana nel caso di un materiale solido, ma del tutto compatibile con un liquido: acqua liquida. Lo sappiamo perché la stessa tecnica è stata utilizzata per studiare i laghi sotterranei subglaciali che esistono sotto l’Antartide e la Groenlandia e i profili registrati sono molto, molto simili a quelli raccolti su Marte. Il che non significa che si abbia la certezza che si tratti di acqua liquida. Potrebbe essere uno strato di anidride carbonica congelata e non è l’unica possibilità. Sono tutte spiegazioni plausibili, ma meno probabili dell’ipotesi acqua liquida. Dunque, se non è un acquifero, c’è un lago su Marte. Non sappiamo quanto sia spesso, se sia il solo o se ce ne siano altri. Se fosse unico si tratterebbe di un’anomalia, se ce ne fossero altri si cambierebbe gioco.

Quanti più dati si riuscirà a raccogliere in futuro, tanto più l’ipotesi sarà validata, ma la certezza la si può avere solo con un sondaggio. Scavare un pozzo nel ghiaccio lo sappiamo fare. Occorre progettare, costruire un robot capace di resistere alle condizioni ambientali particolarmente dure e farlo scendere sul ghiaccio del polo sud di Marte. Il tutto è difficile e complicato, ma non impossibile. Si deve anche avere la certezza di non inquinare lo scavo, perché l’aspetto veramente importante della notizia è che se c’è acqua liquida, ci possono essere forme di vita.

Se ci sono – e in ambienti simili sulla Terra sono state trovate -, sono di certo molto primitive: archeobatteri, procarioti, organismi monocellulari, le uniche che possono resistere in un ambiente estremamente ostile. Anche se non ci sono le radiazioni presenti in superficie, devono vivere in una salamoia molto salata a base di magnesio, calcio e sodio, altrimenti – anche tenendo conto degli elevati valori di pressione – l’acqua non potrebbe essere liquida a 1600 metri di profondità a temperature inferiori ai 60 gradi centigradi.

Tre sono le componenti necessarie per la vita: acqua liquida, una fonte di energia – lisciviazione da minerali in soluzione – e un innesco biologico. Le prime due ci sono. L’innesco sulla Terra si è verificato. Perché non su Marte? Esistono dunque i presupposti per aprire un campo di astrobiologia del tutto nuovo. Per non parlare degli interrogativi etici e religiosi che nascerebbero: abbiamo il diritto di andare a perturbare un pianeta “vergine”? Accettiamo la diffusione del drammatico inquinante “specie umana” su Marte? Chi decide? Di chi è l’eventuale responsabilità? Chi accamperà diritti di proprietà sul pianeta rosso e su che base?

Se c’è stato un innesco biologico su Marte, è lo stesso della Terra? Cosa diranno fedi e confessioni? Gli ultraortodossi, non importa quali, che hanno la certezza dell’esistenza di un unico Dio per solo noi umani, avranno almeno qualche dubbio? Negheranno l’evidenza, come hanno sempre fatto? La storia insegna che il dialogo tra razionalità e fede, scienza e teologia non è facile e non sempre possibile. Purtroppo.