Scuola

Scuola al via ma nel caos: cattedre senza prof e tanti precari. E a pagare sono soprattutto le famiglie dei disabili

Il primo anno dell’era Bussetti è tutto in salita. Tante le carenze nell’anno scolastico 2018/2019, dove le 57.322 assunzioni a tempo indeterminato copriranno solo 37mila cattedre. Il nodo è anche quello di avere docenti stabili per garantire la continuità didattica soprattutto a ai ragazzi in difficoltà. Infine mancano anche bidelli e amministrativi

Il governo del cambiamento non cambia i problemi della scuola. Alla vigilia dell’avvio dell’anno scolastico il caos regna come negli anni passati. Mancano gli insegnanti, soprattutto al Nord; la “supplentite” che già l’ex premier Matteo Renzi aveva promesso di cancellare dal dizionario dei docenti quest’anno conterà 80mila precari in cattedra; gli uffici di un quarto dei presidi saranno occupati da un reggente. E 50mila cattedre di insegnante di sostegno saranno “in deroga”, ovvero posti a tempo determinato alla faccia della continuità didattica. A questo si aggiunge il fatto che le università non sfornano specializzati com’è previsto dalla legge per i disabili e a scuola arriva gente che non ha le carte in regola.

Per fare funzionare le scuole manca il personale – E poi c’è il capitolo degli Ata (personale amministrativo, tecnico e ausiliario) che comprendono i cosiddetti bidelli e gli amministrativi di cui nessuno parla: per quest’anno sono stati autorizzati – secondo i dati della Flc Cgil – 8mila posti ma ne servirebbero altri 17mila per far funzionare le scuole. Ultimi ma non per importanza nell’elenco dei “mali” della scuola italiana, i direttori amministrativi: ne mancano 2.100 su 8 mila. A questo pacchetto si aggiunge la situazione dei diplomati magistrali che avranno il posto a tempo determinato fino a giugno ma restano in attesa del concorso.

Il primo anno dell’era Marco Bussetti è tutto in salita. Per l’anno scolastico 2018/2019 ci saranno 57.322 assunzioni a tempo indeterminato ma con queste saranno coperte solo 37mila cattedre, secondo le stime del sindacato. Gli altri posti saranno dati ai supplenti che in totale arriveranno a sfiorare le 80mila unità (10mila in meno rispetto allo scorso anno) sommando quest’ultimi ai 50mila in “deroga” del sostegno e altri 10-15mila posti cosiddetti “comuni”.

“Non si può tamponare il problema anno per anno” – Sembra assurdo ma in Italia ci sono le cattedre ma mancano gli insegnanti. Le cause sono molteplici. Non ci sono docenti per alcune materie soprattutto al Nord: matematica, latino, greco alle superiori. L’accesso a scienze della formazione primaria è a numero chiuso. La professione docente non attrae e poi “il Fit, il nuovo percorso per diventare docente – ricordano i segretari nazionali di Cisl Scuola Lena Gissi e di Flc Cgil Francesco Sinopoli – non è ancora nelle condizioni di produrre un numero sufficiente di maestri e professori in grado di soddisfare il fabbisogno”. Tutta gente che potrà fare il supplente ma non può entrare di ruolo perché non ha ancora acquisito i titoli per partecipare al concorso.

“C’è la volontà – spiega Gissi – da parte del Miur di trovare le soluzioni e questo è positivo ma serve farlo in modo non emergenziale, senza pensare di tamponare il problema anno per anno. Questo governo di legislatura non si può permettere il lusso di fare provvedimenti estemporanei”. Sinopoli punta gli occhi sulla situazione degli Ata, una vera e propria emergenza: “Si è parlato troppo poco in questi anni di loro. Abbiamo lanciato una campagna, per stabilizzarli. Stiamo pagando le scelte delle finanziare precedenti che hanno marginalizzato il personale Ata. Ora vedremo in Legge di Stabilità se ci sarà un segnale d’inversione”.

Assenza di personale qualificato – A pagare sulla propria pelle l’assenza di personale, soprattutto di quello specializzato, saranno soprattutto le famiglie dei disabili. L’unico dato certo per ora che arriva da viale Trastevere è che i posti “in deroga” saranno 50mila. Altri 45mila potrebbero essere quelli che saliranno in cattedra senza avere la specializzazione. In questi anni il lavoro su questo fronte è stato notevole: sul totale dei docenti, il contingente di quelli per il sostegno è passato dall’8,6% nel 2001/2002 al 16,3% nel 2016/2017 ma resta il problema di avere personale qualificato. L’elevato numero di deroghe preoccupa Lena Gissi: “C’è una certa ritrosia delle Università a fare i corsi di specializzazione; 250 persone in Piemonte, 300 in Veneto non basteranno mai”.

Il nodo della stabilità dei docenti – La questione non è avere docenti ma che siano stabili, che garantiscano la continuità didattica soprattutto a questi ragazzi in difficoltà e che siano qualificati. Una preoccupazione condivisa dal mondo delle associazioni. “Nei mesi scorsi abbiamo presentato al ministero – spiega Vincenzo Falabella, presidente della Federazione italiana per il superamento dell’handicap – uno studio per dimostrare quanto sia importante garantire la continuità didattica. È stato sottoscritto con i sindacati a luglio un accordo per cercare di immettere sulle ore di sostegno una serie di insegnanti che non rientravano nella prima fascia. L’inizio dell’anno dev’essere uguale per tutti”. A lui fa eco Giovanni Merlo direttore della Lega per i diritti delle persone con disabilità della Lombardia: “La facilità di passare da sostegno a ruolo crea un flusso in uscita che non viene compensato. Questa situazione non è sanabile a colpi di ricorsi ma serve un’adeguata programmazione da parte delle Università e la capacità della scuola di tenere gli insegnanti sul posto di sostegno”.

Carenza anche dei dirigenti scolastici – Ne mancano all’appello duemila che saranno sostituiti dai cosiddetti “reggenti”, ovvero presidi che per circa 500 euro in più al mese (comprese le spese di benzina dell’auto per spostarsi) devono coprire più scuole. E il concorso di cui tanto si è parlato ai tempi di Valeria Fedeli? “Da subito – spiega Antonello Giannelli, il presidente dell’Associazione nazionale presidi – era chiaro che sarebbe servito per il 1 settembre 2019. Doveva essere bandito prima”. Ora è tardi. Non solo. Secondo il vertice dell’Anp il governo rischia di perdere il treno se non penserà immediatamente a nuovi concorsi: “Quello bandito nell’era Gentiloni-Fedeli mette a bando non solo i posti necessari ma quelli che si liberano nel triennio successivo ma appena assumeremo questi nuovi dirigenti sarà necessario mettere in cantiere un nuovo concorso”.