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Atlantia, la Cassa depositi e prestiti può rilevare Autostrade. Perché la cosa mi lascia perplesso

Ancora una volta viene ipotizzato un intervento della Cassa depositi e prestiti e questa volta niente di meno che per rilevare da Atlantia i quasi 3mila km della sua rete autostradale. Tanto i soldi ci sono: sono quelli dei correntisti postali (molti dei quali evidentemente non leggono i giornali altrimenti da tempo avrebbero spostato altrove i loro risparmi, visto che non penso abbiano una così alta propensione al rischio).

Le incursioni della Cdp mi fanno pensare al dinamismo dell’Iri, presente nei più diversi settori dell’industria, dei servizi e delle infrastrutture (sua, fra l’altro, la società Autostrade). Ma il Gruppo Iri, primo in Europa negli anni Sessanta, vantava una classe dirigente di primissimo piano, a partire dai fondatori Alberto Beneduce e Raffaele Mattioli e dai massimi responsabili – per fare solo qualche esempio – della telefonia, Guglielmo Reiss Romoli, e della siderurgia, Oscar Sinigaglia. Per non dire, visto che si parla di autostrade, di Fedele Cova e della “sua” Autostrada del Sole.

Non so chi siano i capitani coraggiosi della Cdp, ma sono quanto meno perplesso da alcune delle loro più recenti imprese. Faccio solo tre esempi.

1. Il primo (di cui sono obbligato a seguire gli sviluppi per forza maggiore, visto che abito a 500 metri da Piazza Verdi) è quello del Poligrafico dello Stato, che in quella piazza aveva la sua sede storica e che si è trasferito altrove. Da quel che i residenti sono riusciti a sapere a suo tempo, la Cdp aveva raggiunto un accordo con un grande operatore orientale per trasformare il Palazzo in un albergo di extra lusso, con mega-piscina sul tetto con vista su Villa Borghese. In più si sarebbero realizzati numerosi mini-appartamenti, anch’essi di gran lusso. Un’impresa ai limiti dell’impossibile, visto che il palazzo misura 54mila metri quadri, ha mura ciclopiche e molti ambienti alti fino a 6/7 metri, difficilmente modificabili per i precisi e numerosi vincoli dei Beni Culturali.

Circa due anni or sono iniziano i lavori, con gru di dimensioni mostruose, camion che entrano ed escono di giorno e spesso anche di notte, per maggiore delizia degli abitanti della zona. I residenti chiedono lumi, nessuno risponde. Poi, improvvisamente, dopo quasi un anno di lavori, tutto si ferma. Spariscono gru e camion e i residenti tornano a dormire sonni sereni, per circa un anno. Sul perché di questo blocco dei lavori, solo una indiscrezione: il partner orientale si sarebbe ritirato. Dopo un altro anno, i lavori riprendono. Ma dev’essere un pesce d’aprile, visto che dopo pochi giorni si interrompono di nuovo. E così di seguito.

2. Il secondo esempio è un cospicuo investimento nei villaggi Valtur (in cattivissime acque), spiegato in un comunicato “poliglotta” dalla necessità di “rilanciare il settore della hotellerie, anche per la promozione del brand e la sua (suppongo della Cdp) posizione nel segmento dell’hospitality”. Questa vocazione per gli alberghi risveglia in chi ha vissuto molto da vicino la fase finale della decadenza dell’Iri (ed è il mio caso) il ricordo di una delle vicende più sgangherate della gestione dorotea/petrilliana: l’acquisto di una catena di alberghi – la “Parabola d’Oro” – localizzati al Sud. Fra loro, il famosissimo Hotel “Capo Caccia”, che all’epoca ospitava Liz Taylor e i suoi mariti e che oggi – a quel che sento – è ridotto ad un cumulo di macerie. Ma all’Eni – con la famosa catena dei Jolly – non è andata molto meglio.

3. Del terzo esempio posso dire solo quel che ho letto sulla stampa tempo addietro, non essendo riuscito ad avere notizie aggiornate. Riguarda il ventilato intervento della Cassa in favore di quattro edifici dell’Eur (l’Archivio Centrale dello Stato, il Museo Pigorini, il Museo delle Arti e Tradizioni popolari, il Museo dell’Alto Medioevo) che costituiscono veri gioielli architettonici ma la cui redditività è certamente irrisoria, vista l’estrema difficoltà di un cambio di destinazione d’uso e l’estrema modestia degli introiti di quei pur interessanti musei.

Oltre alla preoccupazione per i poveri correntisti postali, quel che più mi urta in questa storia è la mancanza totale di trasparenza della Cdp, cui corrispondono l’indifferenza e il silenzio dei politici e dei giornalisti: di quelli economici ma anche – in casi importanti come quelli dell’Eur e del Poligrafico – non dico dei direttori dei giornali ma almeno dei responsabili della cronaca romana.

P. s.
Ovviamente, sono d’accordo sul fatto che vada fatta luce sulle cause del disastro di Genova, che vadano rivisti gli aspetti della concessione troppo favorevoli al concessionario e che Atlantia paghi quel che deve. Ma mi chiedo che senso abbia (se non quello di una captatio benevolentiae nei confronti degli arrabbiatissimi elettori italiani) passare la gestione di una rete di circa 3mila km di autostrade da un imprenditore come Benetton, che ha dato concrete prove delle sue capacità, a un organismo con scarsa vocazione imprenditoriale come la Cdp.

Anche se mi terrifica ancora di più l’idea di affidare la nostra rete autostradale a quello che considero come il massimo esempio di incapacità gestionale: l’Anas, con i suoi 26mila km di strade (e di buche). In due settimane, spostandomi per vacanze dall’Abruzzo all’Austria, sono rimasto colpito ancora una volta dalla decine di case cantoniere che stanno crollando senza che nessuno si decida a venderle. E parlo di case che ho visto fra Roccaraso e Pescocostanzo, al Parco Nazionale e poi a Cortina e Misurina. Un patrimonio di migliaia di case dal valore inestimabile. Vade retro Anas!