Cultura

Archeologia industriale, quando ex fabbriche e villaggi operai diventano beni culturali

Da quando “l’archeologia industriale” è divenuta disciplina autonoma, villaggi operai, stabilimenti industriali, stazioni ferroviarie, sono stati considerati beni culturali da tutelare al pari di cattedrali, castelli, palazzi. Il dibattito sulla valorizzazione di queste aree ha assunto negli ultimi anni sempre maggior rilievo, inserendosi di fatto in quello più generale del restauro dell’architettura moderna.

Alcune di queste azioni ha portato a risultati encomiabili quali l’inserimento nella lista del Patrimonio mondiale Unesco del Villaggio di Crespi D’Adda, altre ad interventi di riuso e recupero  di un patrimonio quanto diversificato per tipologia funzionale e per dimensione.

In alcuni casi ci si trova di fronte ad architettura di pregevole esempio, progettate da professionisti di alto valore (Gaetano Moretti, Gustavo Giovannoni, Pier Luigi Nervi, Riccardo Morandi) in altri per lo più si tratta di edifici “anonimi” e/o di difficile paternità progettuale che trovano però, nella funzionalità, nella solidità delle strutture e nell’uso, spesso combinato di materiali tradizionali e moderni, il proprio valore.

E’ indubbio che un uso adeguato può, deve, impedire che queste emergenze si trasformino in “altro” rispettando il più possibile lo spirito originario attraverso un progetto che riannodi il legame con il passato.

L’auspicio di Italia Nostra è che alcuni dei complessi di maggior interesse sparsi in giro per l’Italia possano esser oggetto di un intervento sotteso a ricucire i nessi perduti instaurando un efficace dialogo fra passato e presente. Tra questi segnaliamo la “F.lli Aletti Laterizi Rende sdf”, chiaro esempio di archeologia industriale, costituita nel 1917 da una famiglia di imprenditori varesini, attiva sino al 1948.