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Unipol-FonSai, le carte confermano: “Prezzo fissato non ai valori di mercato ma sulle disponibilità dell’acquirente”

Chiusura dell'indagine torinese sul filone più delicato del caso, quello appunto sulla cifra che la compagnia delle Coop ha pagato per rilevare quella dei Ligresti. Chi era più in difficoltà era infatti il gruppo che stava conducendo l'operazione. Secondo la versione di Consorte tra il 2005 e il 2008 Unipol si era infatti imbottita all'eccesso di pericolosi derivati

Derivati e coop. Un mix esplosivo per il gruppo Unipol che nel 2012 è uscito dalle secche grazie a Fondiaria Sai, Mediobanca e, secondo i pm torinesi, una bella mano di vernice sui conti alla base delle valutazioni delle due compagnie oggetto di una travagliatissima fusione. Che oggi anche gli inquirenti ritengono sia avvenuta a un prezzo fissato dal compratore, la Unipol capeggiata da un Carlo Cimbri che non ammette dinieghi, non sulla base dei valori di mercato delle società coinvolte – e quotate in Borsa – ma della disponibilità economica del gruppo delle Coop, da far combaciare con la sua necessità di avere il controllo dell’attuale campione italiano del ramo danni. Con buona pace delle regole e dei risparmiatori, che hanno così involontariamente contribuito al “salvataggio” di via Stalingrado, oggi sostenuto da buona parte dei consumatori italiani che ne comprano le polizze.

È quanto emerge dalle carte della chiusura dell’indagine torinese sul filone più delicato del caso Fonsai, quello appunto sul prezzo che Unipol ha pagato per rilevare la compagnia dei Ligresti, anticipate da un dettagliato articolo pubblicato dalla Stampa martedì 7 agosto. E che ricostruiscono in oltre 300 pagine il contesto e le condizioni in cui è maturata ed è andata in porto una delle operazioni più importanti e discusse del mercato italiano degli ultimi anni. Con tanto di forzature, colpi bassi, pressioni sui consulenti per far tornare i conti, veleni, papelli nascosti e arbitri scesi in campo di cui, all’epoca dei fatti, si era occupato assiduamente anche Il Fatto Quotidiano.

Il contesto del resto era molto delicato e la materia sensibile, come possono essere il risparmio dei soci delle cooperative da una parte e, dall’altra, i crediti di Mediobanca e Unicredit fortemente esposte sia verso i Ligresti che verso la compagnia delle coop. Che, a quanto oggi rilevano anche i magistrati, se la passava tutt’altro che bene. Secondo la versione di Giovanni Consorte tra il 2005 e il 2008 Unipol si era infatti imbottita all’eccesso di pericolosi derivati per “rinviare le perdite nel futuro ovvero realizzare plusvalenze migliorando il risultato di bilancio”. Nella primavera del 2014 l’ex numero uno di Unipol ha ricostruito per i magistrati torinesi la genesi dei guai del gruppo assicurativo delle coop attribuendo all’attuale gran capo di via Stalingrado, Carlo Cimbri, allora direttore finanziario, la scelta di ricorrere agli strumenti finanziari strutturati che, secondo i calcoli di Goldman Sachs nel 2012 rappresentavano per la compagnia rossa una perdita potenziale di quasi 2 miliardi di euro. Il tutto mentre Unipol banca iniziava a dare i segni di aver peccato nell’aver “privilegiato i rapporti con le Cooperative”, ma anche erogando consistenti prestiti a terzi “che nel tempo si sono poi rivelati inesigibili”. Meno diplomaticamente l’ex “banchiere” delle coop, sempre nel 2014 ma a colloquio con il top manager di Unipol Roberto Giay captato dagli stessi inquirenti torinesi, a proposito della banca preferisce parlare di ruberie: “Hanno rubato troppo“, dice mentre l’interlocutore conferma annuendo.

Una situazione che sei anni fa, quando è andata in porto la travagliata fusione tra Fondiaria Sai e Unipol, non era sfuggita all’ambiente economico finanziario, come ben riassume il consulente Daniele Michele Sottile che all’epoca lavorava sul tavolo opposto di Unipol, quello di Sator e Palladio anch’essi interessati a rilevare FonSai dai Ligresti. “Era un’opinione che circolava tra alcuni operatori – spiega in procura – che l’operazione di fusione avesse quale obiettivo il salvataggio di Unipol Assicurazioni“, e non già di Fonsai che all’epoca “stava migliorando il risultato di gestione; analogamente correvano voci circa le criticità degli strutturati presenti nel portafoglio di Ugf e di criticità relative ad Unipol Banca”.

La caduta in disgrazia dei Ligresti e la conseguente apertura di credito presso vertici del simbolo del capitalismo italico, Mediobanca, è stata quindi provvidenziale per il gruppo delle coop che si è cosi messo in salvo con relativamente poca spesa. Secondo i calcoli dei finanzieri torinesi, riporta ancora la Stampa, nel triennio successivo alle nozze costate alle Coop 400 milioni di euro, Unipol ha restituito il favore con ricchi dividendi che hanno puntellato il fragilissimo sistema delle cooperative. Che, ironia della sorte, non possono non ringraziare figure di tutt’altro colore e origine: dai Ligresti all’ex presidente della Consob e sodale di Giulio Tremonti, Giuseppe Vegas, passando per l’imprescindibile amministratore delegato di Mediobanca, Alberto Nagel, che il gran capo di Unipol Carlo Cimbri, affettuosamente chiama “Comandante”. E gli uffici del banchiere ricambiano con “Carlone”.