Economia

Sergio Marchionne, i buchi miliardari di Fca Italy: il grande neo della sua gestione

Nell’apoteosi dei numeri brillanti dell’intero gruppo si perde la debâcle di Fca Italy che da anni macina perdite miliardarie: il conto fa 6 miliardi dal 2012 a oggi. Ancora nel 2017 il rosso è stato di 672 milioni. E gli analisti non credono nell'inversione del trend: secondo le stime di Goldman Sachs, i marchi Fiat e Lancia chiuderanno con utili operativi in perdita anche nel 2019

C’è un insuccesso palese, una zona d’ombra, nell’indubbia grandeur epica che ha contraddistinto l’operato di Sergio Marchionne. L’uomo che ha raccolto 14 anni fa la vecchia e malconcia Fiat sull’orlo del crac, le ha cambiato pelle e l’ha resa globale, senza debiti industriali e con una profittabilità in linea con i migliori competitor, non è riuscito a risanare il cuore industriale dell’azienda. Non è riuscito a far camminare sulle proprie gambe l’anima antica della Fiat degli Agnelli.

Nell’apoteosi dei numeri brillanti dell’intero gruppo automobilistico si perde la debâcle di Fca Italy che da anni macina perdite miliardarie. La società raggruppa le attività industriali in Italia, Europa, Turchia, Polonia, Sudamerica e India. Sono gli impianti produttivi per lo più, gli stabilimenti, ma anche le divisioni commerciali del gruppo. Di fatto le attività della vecchia Fiat Auto pre-acquisizione dell’americana Chrysler. Ebbene Fca Italy è un pozzo senza fondo di perdite. Da sempre. Ancora nel 2017 il rosso è stato di 672 milioni. Un miglioramento certo, ma sempre un bilancio negativo. L’anno prima, il 2016, la perdita fu di 1,1 miliardi. Che si somma al buco da 1,6 miliardi del 2015. Una lunga teoria di conti in rosso.

Basti pensare che dal 2012 le perdite nette di Fca Italy sono ammontate a oltre 6 miliardi. Solo nel 2014 il bilancio chiuse in utile per 4 miliardi ma giovandosi della plusvalenza dovuta alla cessione della Fiat North America a Fca. Un bottino una tantum ed esclusivamente di natura finanziaria. La crisi è tutta nel conto economico. Nonostante i ricavi in forte crescita, passati da 16 miliardi a 29 miliardi nell’ultimo quinquennio, la “vecchia” Fiat Auto non riesce a chiudere in profitto. I costi superano puntualmente la pur brillante corsa dei ricavi. Perdere oltre un miliardo all’anno su un quinto del fatturato dell’intera Fca non è cosa da poco.

Il gruppo è anche dovuto intervenire più di una volta a rimpolpare il capitale mangiato dalle continue perdite. Solo nel 2016 sono stati immessi nel capitale di Fca Italy 3,5 miliardi. Chissà forse il primo utile arriverà alla fine del 2018. Gli analisti ne dubitano fortemente, dato che secondo le stime di Goldman Sachs, i marchi Fiat e Lancia chiuderanno con utili operativi in perdita anche nel 2019. La stessa Alfa Romeo è previsto che lavori in perdita anche nel 2018. I vizi della vecchia Fiat Auto non sono mai morti. Molti stabilimenti produttivi lavorano in perdita e i marchi storici, pur con grandi successi nelle vendite, non producono margini positivi. L’anno scorso il bilancio di Fca Italy ha visto le svalutazioni di parte delle attività in Brasile e ha registrato le difficoltà sul fronte indiano, ma anche delle succursali di Fca Italy in Gran Bretagna e Spagna. Senza contare che negli stabilimenti italiani da Mirafiori, a Melfi e Pomigliano i contratti di solidarietà e la cassa integrazione sono una sorta di presenza costante.

In fondo non ha funzionato il mirabolante progetto di Fabbrica Italia, rimasto per lo più sulla carta e se attuato non certo con lusinghieri risultati. Visto così e viste le difficoltà a rianimare le business unit industriali e commerciali della vecchia Fiat auto si comprende meglio come il vero capolavoro del manager italo-canadese con passaporto svizzero è stato lo sbarco negli Stati Uniti. L’aver rilevato la Chrysler in liquidazione è stato il colpo da maestro di Marchionne. Quello che ha dato nuova vita al gruppo, rigenerandolo. Del resto basta vedere dove fa i ricavi e gli utili il gruppo Fca. L’area Nafta (Usa, Canada) è la vera punta di diamante. I successi vengono dalle Jeep e dai pick up marchio Ram venduti in terra d’America. Oltre metà dei 110 miliardi di fatturato del gruppo vengono da oltre Atlantico. L’Europa allargata (Emea) fa solo un terzo del fatturato del continente Nordamericano. Non solo: è anche assai diversa la redditività operativa.

Usa e Canada hanno un margine sul fatturato all’8% contro il 3,2% europeo, superato anche dall’area asiatica che ha marginalità operativa oltre il 5%. I gioiellini di casa Marchionne quanto a valore sono i marchi Jeep e Ram, oltre al brand di lusso della Maserati. Come detto i marchi Fiat e Lancia continuano a operare in perdita. Il cambio di pelle è stato proprio quello: conquistare il mercato statunitense con marchi come Jeep e Ram a valore aggiunto più alto. L’ultima perdita del bilancio dell’era Marchionne risale al 2009. Poi il gruppo ha sempre prodotto utili. Con il balzo vero e proprio negli ultimi anni della gestione del manager italo-canadese. I profitti dello scorso anno si sono collocati al record di 3,5 miliardi, il doppio del 2016 e decuplicati sul 2015. Un crescendo continuo con la Fca “americana” che oggi vanta una marginalità operativa netta vicina al 7% dei ricavi. Una soglia che la vecchia Fiat non ha mai conosciuto traccheggiando negli anni lontani con una redditività operativa che era la metà di quella che ha realizzato l’ex ad nel suo ultimo anno. Segno che senza l’operazione Chrysler e l’avventura americana la Fiat sarebbe stata destinata a una lenta consunzione.