Diritti

Scontrino omofobo, quel ‘sì frocio’ è la prova che l’Italia odia chiunque non sia maschio, etero e bianco

La notizia della coppia insultata alla Locanda Rigatoni di Roma – riassumendo velocemente: il cameriere di turno ha ritenuto divertentissimo scrivere sull’ordinazione dei due clienti “no pecorino, sì frocio” – è un déjà vu della cronaca estiva italiana, da qualche estate a questa parte. Siamo purtroppo abituati a sentire di B&B che rifiutano clientela Lgbt, di ristoranti che non servono coppie di uomini e tanti altri fatti ancora che, in linea col “cambiamento” messo in atto dal nostro attuale governo, stanno trasformando l’Italia da “bel paese” a risposta mediterranea alla Germania degli anni trenta.

L’omofobia che si respira da qualche anno a questa parte, e di cui si registra una certa recrudescenza, è solo una delle facce di un poliedro molto più complesso che contiene in sé sentimenti d’odio contro tutte le altre categorie non rientranti nel paradigma del maschio, bianco, eterosessuale, cattolico e borghese. Adesso, dare tutta la colpa a Salvini, a Fontana e ai big del nuovo corso giallo-verde è comodo, ma farebbe torto a un processo ben più ampio che affonda le sue radici negli anni passati e che non è mai stato affrontato nella sua vastità.

Sarebbe anche fin troppo semplice parlare solo di omofobia e basta. Sia ben chiaro, la nostra società ha un grosso irrisolto con l’omosessualità e siamo ancora al livello sub-culturale per cui la barzelletta sul busone – a proposito: auguri, seppur in leggero ritardo, Beppe – o scomodare categorie orto-frutticole per identificare i gay (sì, alludo proprio al termine “finocchio”) ha un profondo valore esorcizzante. Se do del ricchione a qualcuno, insomma, la gente capirà che almeno io sono “normale”. E questo è un sentimento comune. Avanguardia pura, insomma.

Poi la politica fa il resto, tra leggi a metà (si pensi a quanto accaduto con la stepchild adoption) e provvedimenti mai approvati (si veda la legge Scalfarotto, a tal proposito), per non parlare di altri atti ufficiali che facilitano e pongono le basi per futuri sentimenti d’odio collettivo: a tal proposito, la maggioranza leghista in Friuli Venezia Giulia ha deciso di abrogare una legge regionale che interveniva proprio sul bullismo omofobico nelle scuole. Poi c’è Fontana, appunto. Giusto per capire quanto è sfaccettato il problema.

Eppure, il problema non è tanto (o solo) quello. Il problema è che siamo una nazione ormai incivile, in piena decadenza morale, civica ed economica (le cose sono strettamente interconnesse). E siccome la società non trova leader capaci, scambiando imbonitori per leader – a scanso di equivoci: lo penso di Salvini e Di Maio oggi, come lo pensavo ieri per Renzi – e quindi una guida che sia faro nella nebbia, e non giogo intorno alla propria identità, si lascia condurre dai sentimenti di pancia. Gli stessi sobillati da chi li usa per arrivare al potere.

Questo imbarbarimento collettivo, che si traduce in certi commenti sui social per cui i bambini morti nei naufragi sono manichini messi lì da Soros – mi avete ridotto al punto che provo nostalgia per le teorie del complotto sulle scie chimiche, sappiatelo – ha preso tutti e tutte noi. Anche noi della comunità Lgbt, dove in molti adesso gridano indignati al cospetto di quest’ennesimo insulto e auspicano punizioni esemplari per il povero cameriere, la cui colpa è sostanzialmente quella di essere un cretino come tanti.

E si manca, appunto, l’obiettivo primario: quello di un’educazione alla cittadinanza che dovrebbe riguardare non solo allievi e allieve delle nostre scuole, in classi in cui questa materia non si studia più, ma la società tutta. E visto il punto in cui siamo, quello che ci ha traghettato dal Rinascimento e dalla rivoluzione scientifica di Galileo – e chissà se certi miei affezionati lettori sanno di costa sto parlando – all’indifferenza con cui lasciamo annegare i profughi in mezzo al mare, inneggiando magari al tweet del giorno del ministro degli Interni, capirete da soli che il lavoro non solo è enorme, ma prevede uno sforzo collettivo da parte di quell’Italia migliore che ancora esiste e che dovrebbe solo credere un po’ di più in se stessa.

Insomma, va benissimo indignarci per il cameriere omofobo di turno – e preciso: licenziarlo, seppur giusto, non ha comunque risolto il problema – ma dovremmo farlo di fronte a tutte le ingiustizie, non solo quelle che ci toccano da vicino. E questa è una critica che sento di fare alla mia comunità, che ancora sta scambiando il sentimento di vendetta come l’antidoto al male. Male che nasce nelle nostre viscere e che va combattuto con l’uso della ragione. La ragione. Quella cosa capace di temperare, se si usa correttamente, i nostri più bassi istinti.