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Spagna, Sanchez vuole rimuovere il muro di Melilla e Ceuta. Ma quale sarà il prezzo da pagare?

di Omar Porro

Cambio di passo in Spagna, con il nuovo governo di Pedro Sánchez. L’Esecutivo di Madrid, infatti, starebbe lavorando alla rimozione del muro di filo spinato che corre lungo il confine tra il Marocco e le enclavi di Melilla e Ceuta. La lunga cortina di acciaio e metallo è stata eretta nel 2005 dall’allora premier socialdemocratico Luis Zapatero e rinforzata nel 2013 dal popolar-conservatore Mariano Rajoy. Una vera e propria novità che però rischia di trasformarsi un boomerang per la fragile maggioranza che sostiene il nuovo presidente del governo.

Cosa sono le “concertinas”?

Se fino alla fine degli anni Ottanta le autorità governative spagnole, insieme a quelle locali sono riuscite a contenere, in maniera positiva, il processo del fenomeno migratorio, ben presto si è dovuto fare i conti con una triste realtà.

A partire dalla seconda metà degli anni Novanta il governo di Madrid in collaborazione con le Istituzioni europee destinò parte importante dei fondi destinati alla gestione del fenomeno migratorio per la costruzione di un muro di filo spinato che ha impedito il passaggio di migranti irregolari che dal Marocco cercavano di entrare in territorio spagnolo. Già allora, parte della Comunità internazionale, criticò aspramente la decisione dell’Esecutivo iberico.

Il neo-ministro dell’Interno Fernando Grande-Marlaska ha confermato l’intenzione di superare l’utilizzo dei “muri” anche per rispondere alle richieste di tutela dei diritti umani dei migranti: “È una mia priorità e farò tutto il possibile perché le recinzioni di filo spinato lungo il confine con il Marocco siano rimosse”. Una posizione che ha ricevuto il plauso delle associazioni umanitarie e anche dell’ala più a sinistra nelle Cortes spagnole.

Il governo di Sánchez, con la precaria maggioranza che lo appoggia, ha bisogno di creare alleanze (puntando su politiche di rottura rispetto al recente passato) che gli garantiscano la sopravvivenza. Una decisione, quella di Madrid, in netta contrapposizione a quanto invece accade in altri Paesi europei che invece puntano all’innalzamento di barriere lungo i confini.

Le pesanti critiche

Le “muraglie” di filo spinato sono state duramente criticate negli anni, soprattutto per i gravi incidenti che si sono verificati. E’ tristemente noto che migliaia di migranti, nell’intento di attraversare il confine scavalcando la recinzione, sono rimasti gravemente feriti, con buona pace dei governi (di destra e di sinistra) che si sono susseguiti alla guida della Spagna. “Non è più ragionevole e accettabile vedere persone che saltano attraverso le recinzioni; possiamo intervenire prima, all’origine del fenomeno”, queste le parole del ministro Fernando Grande ai microfoni spagnoli dell’emittente radiofonica “Onda Cero”. Allo scorso 31 maggio, secondo i dati del Ministero dell’Interno, circa 2.400 migranti sono riusciti a entrare in territorio spagnolo senza passare dagli accessi ufficiali. “E’ necessario avere – continua Grande – una seria politica di controllo delle frontiere e dei flussi e sono convinto che si possa garantire sicurezza alle frontiere anche con mezzi meno invasivi”. Una posizione che è ben lontana da quanto invece proposto dai Paesi dell’Est Europa che, senza farne mistero, più di una volta hanno ipotizzato la creazione di “barriere fisiche” per limitare l’accesso dei migranti.

Un’altra notizia passata (quasi) inosservata

La notizia, insieme a quella del “ritorno” alla sanità pubblica per circa 75mila cittadini spagnoli, ha però offuscato un particolare politico da non sottovalutare. L’ex premier Mariano Rajoy, proprio lo scorso 15 giugno, si è dimesso dal Congresso dopo quasi 33 anni ininterrotti di presenza nelle aule parlamentari spagnole. Il 5 giugno, l’ex Capo del governo, si era dimesso anche dalla guida del Partito popolare.

L’ex presidente della Comunità autonoma di Catalogna, Carles Puigdemont, potrà essere estradato in Spagna, non più per il reato di ribellione, ma soltanto per quello, certamente meno grave, di “malversazione” di denaro e fondi pubblici. Il governo di Madrid, ora, dovrà fare i conti anche con la possibilità di poter processare l’ex presidente catalano, tanto che la decisione del Tribunale regionale dello Schleswig-Holstein in Germania ha già fatto tremare il premier Pedro Sánchez.

Il successore di Mariano Rajoy, infatti, dovrà sbrigare dal punto di vista politico la matassa, tanto che dovrà esporsi in prima persona su una questione di interesse nazionale di cui il Partito socialista sembra non essersi mai interessato. I socialisti, nonostante la loro netta contrarietà al referendum dello scorso primo ottobre, hanno sempre preferito mantenere una linea molto più rispetto agli “avversari” storici del Partito popolare (allora al governo del Paese e già in piena crisi politica interna).

La Spagna, dopo anni di chiusura, forse cambia passo. Ma quale sarà il prezzo da pagare, dal punto di vista della politica interna (ma anche di credibilità internazionale) e in termini di consenso elettorale, nel breve periodo? Non c’è da dimenticare che nel 2019 si terranno le elezioni europee per il rinnovo del Parlamento di Strasburgo e la delicata situazione istituzionale spagnola sarà la cartina di tornasole per una remota rinascita, o per il declino definitivo, dei tradizionali partiti politici europei.