Tecnologia

La Cina ha inventato un modo di fare tecnologia. Trump se ne faccia una ragione

Improbabile. Leggere Created in China: how China is becoming a global innovator, libro che parla dell’innovazione in Cina, e ritrovarsi a chiacchierare con Georges Haour – autore del saggio insieme a Max von Zedtwitz e docente all’Imd di Losanna – seduti nel giardino della residenza di uno degli ultimi ministri dell’Imperatore, oggi albergo pieno di fascino nel centro di Pechino. Ciò che segue sono appunti, non troppo ordinati, di quanto ascoltato. Eventuali errori sono di mia unica responsabilità.

L’innovazione riguarda la qualità della produzione e occorre misurarla. Una delle metriche sono gli investimenti in R&S come quota percentuale del Prodotto interno lordo. Nel caso cinese sono cresciuti dallo 0,5% del 1995 a oltre il 2% per cento nel 2016, con l’obiettivo dichiarato del 2,5% al 2020, superando così gli investimenti medi dei paesi dell’Unione europea. Se si guarda ai valori assoluti la crescita è ancora più evidente: nel 2017 la Cina investe in R&S circa $400 miliardi, rispetto ai $520 miliardi americani, prevedendo di superare gli Usa intorno al 2023.

L’innovazione in Cina è focalizzata non tanto sulla capacità tecnologica ma sulla creazione di valore da un’attività, quindi sui servizi, su specifici aspetti del modello di business, per definizione non brevettabili, copiabili e condivisibili. Per esempio, Haier che produce elettrodomestici e condizionatori, garantisce la consegna nelle 24 ore, imponendo questa condizione ai subappaltatori. Xiaomi, valore dell’azienda 50 miliardi di dollari, produttore di telefoni cellulari e altre cose, non possiede nemmeno una fabbrica, non spende nulla in pubblicità “classica”, ma vende milioni di telefoni cellulari, principalmente sul web.

Insomma, le metriche, comunemente utilizzate per “misurare” il livello di innovazione, nel caso cinese dicono poco, perché non tengono in sufficiente considerazione gli elementi centrali dell’innovazione in Cina. Bene ripeterlo: le innovazioni sono soprattutto di prodotto e spesso derivano da numerosi e piccoli adattamenti dei prodotti esistenti. Sono cambiamenti non di natura tecnica, ma la loro facilità d’uso rende possibile il successo nell’impegnativo mercato cinese.

La Cina domina il mondo dell’internet mobile e della “Fintech“, è in simbiosi con la Rete, con oltre 800 milioni di utenti nel 2017 e più della metà di loro usa il cellulare per qualsiasi pagamento. D’altronde WeChatPay, di Tencent, è di una facilità d’uso disarmante e si diffonde a macchia d’olio. Allo stesso tempo la Cina è una potenza manifatturiera e vuole continuare a esserlo attingendo alle tecnologie e alla robotica, come attesta l’ambizioso programma Manufacturing 2025, versione locale del piano tedesco Manufacturing 4.0. I cinesi non copiano, migliorano riprogettando gli elementi delle offerte, adattandole al mercato interno e ottenendo migliori rapporti funzione-costo. Non possono essere accusati di contraffazione, operano in modo legittimo, vedi Baidu, adattamento di Google, o Alibaba, inizialmente ispirato a eBay.

I modelli di innovazione in Cina sono unici. Le aziende private sono il motore della creazione di ricchezza e operano in un ambiente in cui il settore pubblico è estremamente potente, pronto ad avviare imprese “sperimentali” per testare, adattare e modificare l’offerta e la dimensione del mercato interno è tale da fare sia consolidare e crescere le competenze tecniche, sia raggiungere rapidamente dimensioni competitive. Il rapporto fra pubblico e privato è un gioco a somma positiva molto efficace, altamente interattivo, che opera a velocità vertiginosa. L’attenzione e le esigenze del mercato interno spiegano perché siano poche, per ora, le aziende cinesi che si sono avventurate all’estero: Good Baby, Huawei, Lenovo, Haier, però la dinamica è in atto. L’internazionalizzazione richiede acquisizioni e nel 2014, per la prima volta, gli investimenti cinesi diretti all’estero hanno eguagliato il flusso di investimenti esteri in Cina.

Rimane molto da fare sul fattore umano, compreso lo sviluppo di una “cultura della ricerca” nelle università. Un collo di bottiglia per raggiungere gli ambiziosi obiettivi del Manufacturing 2025 sembra essere proprio la carenza dei talenti e delle competenze necessarie. La Cina deve ripensare in modo “rivoluzionario” il suo sistema di educazione e formazione. Una sfida critica e da fare tremare i polsi.

In conclusione. La Cina oggi? Forte spirito imprenditoriale, implacabile orientamento al business e al mercato, in particolare a quello interno: grande, ferocemente competitivo, vibrante, esigente. Aziende pubbliche e private estremamente veloci e agili nell’implementazione in un’economia vivace. Consumatori che richiedono eccezionali rapporti qualità-prezzo. Un governo forte, impegnato a promuovere l’innovazione. Salvo gravi e improbabili incidenti di percorso, nel prossimo futuro la Cina sarà una delle maggiori fonti di innovazione al mondo, in particolare nei servizi Itc. C’è molto da imparare dalla “via cinese” per l’innovazione e il fatto che la Cina sia una delle principali fonti di innovazione è un bene per il Paese asiatico e un bene per il mondo. Qualcuno lo spieghi a Donald Trump.