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Iran, quando anche danzare è un crimine

L’Iran è ancora un Paese troppo difficile per le donne. Le autorità iraniane qualche giorno fa hanno arrestato una giovane ragazza di 19 anni, Maedeh Hojabri, con l’accusa di aver postato sul suo account Instagram una serie di video che la ritraevano in casa, mentre ballava. La tv di Stato, la Irib la stessa che ha criticato asprqamente le mie dichiarazioni sulle proteste dei giorni scorsi a Tehran – ha trasmesso un video in cui si vede la giovane ammettere di aver violato le “norme morali” dell’Iran e in cui spiega che non era affatto sua intenzione. Confessione fatta attraverso intimidazioni e contro la sua volontà come le tante che spesso vengono fatte rilasciare a molti detenuti per esercitare una sorta di convincimento nell’opinione pubblica.

La giovane Hojabri aveva oltre 43mila follower e aveva postato circa 300 video, molti dei quali in cui ballava senza velo. I suoi video avevano spesso il sottofondo di canzoni occidentali e spesso anche musiche persiane. Il suo account Instagram è stato chiuso e le autorità hanno annunciato che chiuderanno altri account rendendo sempre più complicato l’accesso ai social network. Sebbene, una delle tante contraddizioni iraniane consiste proprio nel divieto e nella facilitá di arginare la censura su internet, attraverso filtri speciali, i Vpn e i proxy esterni scaricabili anche’essi in Iran.

Nonostante la censura e i blocchi imposti dalla polizia informatica e dall’intelligence, sono centinaia di migliaia gli iraniani che comunicano attraverso il web spesso proprio per rivendicare il proprio malcontento e denunciare le numerose privazioni alle quali vengono sottoposti. Per capire meglio la situazione di quest’ultimo episodio discriminatorio nei confronti di una donna in Iran, ieri ho avuto uno scambio di informazioni con l’attivista Mashin Alinejad, la giornalista esule che qualche anno fa ha fondato My stealthy freedom, la campagna su Facebook nata per dare sostegno alle donne iraniane obbligate a indossare il velo. Nella nostra conversazione Mashin mi ha detto che la giovane ragazza ha 19 anni e non 17 come erroneamente era stato riportato ed è stata rilasciata su cauzione. Le è stato detto che non può rilasciare interviste o dichiarazioni e che non potrà avere un account su Instagram. Ha confermato di aver dovuto confessare in tv di aver danzato, atto considerato un “crimine”.

Anni fa lo stesso procedimento era stato utilizzato nei confronti di sei ragazzi che vennero arrestati con l’accusa di aver “offeso la castità pubblica” per aver postato la clip di una versione del tormentone americano Happy. Il filmato mostrava tre uomini e tre donne senza velo che cantavano, ballano nelle strade e sui tetti di Teheran la canzone di Pharrell Williams. I ragazzi furono costretti a confessare sulla tv di stato “le loro azioni criminali”. Vennero rilasciati poco dopo e ricevuti dal presidente Hassan Rohani in segno di solidarietà.

Stessa cosa sta avvenendo in questi giorni in Iran, in cui proprio alcuni religiosi si sono esposti recriminando l’arresto della ragazza contro i metodi della magistratura. La vera solidarietà però sta arrivando in particolare da tante donne, che stanno postando i loro video mentre danzano senza velo, con quell’eleganza e quella grazia che solo le donne persiane possono esibire. Un gesto visto non solo in supporto di Maedeh ma in sostegno di tutte quelle donne che attendono un cambiamento, che auspicano la parità di genere e lottano ogni giorno per il raggiungimento di una sempre lontana libertà.

In Iran (e non solo) la danza da sempre è un modo per esprimersi, per poter dire la propria e dare la propria visione del mondo. La danza spesso è espressione di voglia di libertà, ma nella Repubblica Islamica non è ammesso nemmeno mostrare il proprio malessere; non è contemplato protestare e raccontare al mondo quanto sia difficile vivere in un Paese, in cui la donna è considerata subalterna all’uomo.Sicuramente dal 1979 a oggi le donne in Iran hanno subito notevoli cambiamenti e ottenuto enormi successi ma ancora non sufficienti per definirle “libere”.

Proprio in questi giorni é arrivata la condanna per Shaparak Shajarizadeh la ragazza che lo scorso dicembre aveva rimosso il velo in segno di protesta partecipando alla campagna della Alinejad #WhiteWednesday. La pena inflitta è di 20 anni,di cui 2 anni in carcere e altri 18 in custodia in cui non potrà rilasciare dichiarazioni. Altre donne sono in carcere con la stessa accusa e si attendono i verdetti. C’è da chiedersi perà come mai un Paese al collasso, con imminenti sanzioni dagli Stati Uniti e guardato con perplessità del mondo occidentale, continui imperterrito a mantenere e mettere in pratica leggi obsolete che, oltre danneggiare il futuro del popolo, altro non fanno che attirare nuovamente quell’immagine negativa che per anni abbiamo tentato di cancellare. Il dubbio che sia per spostare l’attenzione da qualcos’altro rimane.