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G7 e Singapore, Trump manda a catafascio il Vertice con gli alleati. Ma ci prova con l’arci-nemico

A cose fatte, Donald Trump manda all’aria le conclusioni sbiadite e indolori d’un G7 che aveva già cercato di sabotare, ponendo in extremis la questione del ritorno della Russia fra “iGrandi” (che non era all’ordine del giorno). A lavori ultimati, il magnate presidente se la prende col padrone di casa, il premier canadese Justin Trudeau, “debole e disonesto” e straccia metaforicamente le conclusioni sul commercio internazionale. Le colpe di Trudeau?

Avere aperto i lavori della seconda giornata senza aspettarlo e avere poi definito, in conferenza stampa, “un insulto” i dazi degli Usa sull’acciaio e l’alluminio europei e canadesi. Che sia calcolo – ma quale? – o impuntatura, interesse nazionale leso o ego personale ferito, ancora una volta, Trump spariglia i giochi: il compromesso raggiunto a Charlevoix, nel Quebec, in Canada, è nullo e non avvenuto; e le dichiarazioni rese dagli altri leader a fine lavori sono tutte basate su una presunzione di accordo sul commercio internazionale cancellato da Trump ex post.

Da un Vertice all’altro, il magnate presidente aveva avuto fretta di lasciare il G7 per raggiungere Singapore, dove martedì incontrerà il leader nord-coreano Kim Jong-un. L’appuntamento è fissato alle nove del mattino, le tre di notte in Italia: uno snodo tra tensione e distensione, minaccia (nucleare) e denuclearizzazione. Trump ha già detto che gli basteranno cinque minuti per capire se la cosa può funzionare: lui si affida alla “chimica personale”. Con due protagonisti così impulsivi e imprevedibili, nulla è scontato.

Il Vertice di Singapore sarà seguito da oltre tremila giornalisti e operatori dell’informazione: al G7, erano di meno. I grandi appuntamenti della governance mondiale, i G7 e i G20, hanno da tempo perso il loro fascino da carrozzoni mediatici, perché hanno perso – o, nel caso del G20, non hanno mai acquisito – un forte impatto sulla politica e l’economia globali.

Molti fanno il tifo perché l’incontro di Singapore sia un successo. I primi sono Trump, se vuole migliorare la sua immagine internazionale e se nutre ambizioni di Nobel per la Pace; e Kim, che punta su un allentamento delle sanzioni e su un flusso di aiuti per migliorare le condizioni di vita nel Paese. Le speranze di successo sono condivise dagli alleati degli Usa nell’area: la Corea del Sud, il cui presidente Moon Jae-in è il vero artefici della distensione coreana, e il Giappone. E dai “padrini” della Corea del Nord, Cina e Russia: Pechino e Mosca si sono date molto da fare perché il Vertice, sovente a rischio, si svolga (e Putin assicura che Kim è pronto a essere costruttivo).
Il finale a sorpresa del G7 conferma l’inutilità e l’inadeguatezza di questo formato: i ‘Sette Grandi meno uno’ credevano di avere evitato il flop d’un Vertice senza dichiarazione finale congiunta, ma il documento sul commercio che avevano adottato era acqua fresca, con l’impegno a combattere il protezionismo, proprio mentre l’America di Trump è impegnata in una crociata protezionistica contro partner e alleati.

E le discussioni sono state “ruvide”, testimonia Trudeau. In questo contesto, il presidente del Consiglio italiano Giuseppe Conte ha vissuto un suo G7 tutto particolare: da esordiente, ne giudica il bilancio “molto positivo” e afferma che non c’è conflitto “nel rapporto con Usa ed Ue”; constata da Trump “attenzione e apertura” per il suo governo; e si barcamena sulla Russia (“Ha un ruolo cruciale, ci vuole dialogo”), le missioni militari italiane all’estero (“Le valuteremo, ma nessun disimpegno”), i dazi (“Non ne siamo contenti, sono svantaggiosi per l’Italia e l’Ue”); e schiva per il momento le ramanzine dei partner e delle istituzioni (la signora Lagarde non gli ha espresso “preoccupazioni” dell’Fmi per l’Italia), in attesa di momenti di confronto più specifici e più dettagliati. Un esordio fortunato, senza essere bagnato.