Giustizia & Impunità

Rigopiano, inchiesta al “terzo livello”: indagati il governatore Luciano D’Alfonso e i suoi predecessori Del Turco e Chiodi

La procura di Pescara ha iscritto gli ultimi tre presidenti della Regione Abruzzo con l'accusa di omicidio colposo, lesioni e disastro colposo per la morte di 29 persone nella Spa di Farindola, travolta da una valanga nel gennaio 2017. Tutto ruota attorno alla mancata realizzazione della Carta di localizzazione dei pericoli da valanga, che permise all'hotel di ricevere le autorizzazioni tra il 2007 e il 2016. Sotto inchiesta anche gli assessori e i funzionari regionali

L’inchiesta è arrivata al terzo livello, quello politico. Ci sono anche l’attuale governatore della Regione Abruzzo Luciano D’Alfonso e i suoi predecessori Ottaviano Del Turco e Gianni Chiodi tra gli indagati per la tragedia dell’hotel Rigopiano. La procura di Pescara ha iscritto gli ultimi tre presidenti con l’accusa di omicidio colposo, lesioni e disastro colposo per la morte di 29 persone nella Spa di Farindola, travolta da una valanga nel gennaio 2017.

A tutti i nuovi indagati il procuratore Massimiliano Serpi e il sostituto Andrea Papalia contestano proprio la mancata realizzazione della Carta di localizzazione dei pericoli da valanga, che – sostiene l’accusa – è stata decisiva nella costruzione dell’hotel di lusso in quel punto. Non a caso, assieme ai vertici politici regionali, sono indagati anche gli assessori con le deleghe alla Protezione civile dalla giunta Del Turco in poi, ossia dal 2007 ad oggi, cioè Tommmaso Ginoble, Daniela Stati, Gianfranco Giuliante e Mario Mazzocca, oltre ai funzionari regionali.

Il 18 gennaio 2017 una valanga travolse l’hotel, provocando la morte di clienti e personale del resort. Le prime indagini della Procura hanno portato all’iscrizione sul registro degli indagati tra gli altri l’ex prefetto Francesco Provolo e il presidente della Provincia Antonio Di Marco. La svolta sull’ultimo filone, invece, era emersa a gennaio quando i carabinieri della Forestale erano entrati nei palazzi della Regione Abruzzo per sequestrare tutti i verbali del Co.re.ne.va., l’ente di supporto alla Giunta regionale per le problematiche neve-valanghe.

Nel 1999, infatti, fu lanciato il primo di una lunga serie di allarmi sul pericolo della zona, senza che venisse mai redatta la “carta valanghe”. Il 4 marzo 2003 ad esempio lo studio di due guide alpine viene acquisito dalla Commissione valanghe dopo un sopralluogo sul Monte San Vito adiacente al Monte Siella, quello sopra l’hotel distrutto nel gennaio 2017, nel quale si riferisce di “una condizione di pericolo “Forte” in quanto il manto nevoso è debolmente consolidato e che il distacco di valanghe è probabile già con debole sovraccarico. Sono da aspettarsi valanghe medie ed anche singole grandi valanghe”. Allarmi e moniti che sono stati tutti ignorati. Nessun pericolo valanghe segnalato, nessun controllo. Ed è anche così che ai titolari del resort si rilasciarono i permessi nel 2006, nel 2007, nel 2008 e nel 2016 che non sarebbe stato possibile ottenere altrimenti.

Prima delle iscrizioni di martedì, gli indagati erano 24 in quattro filoni d’inchiesta per fare luce sulle responsabilità di chi si occupò di attivare la macchina dei soccorsi, quelle su chi gestì l’emergenza neve che precedette la slavina. Ma anche ricostruire la catena delle autorizzazioni per la realizzazione del resort e ora prende corpo anche quello su chi avrebbe dovuto produrre la mai nata carta “pericolo valanghe”. Le accuse, a seconda delle posizioni, vanno dall’abuso d’ufficio, al falso, agli abusi edilizi, fino al disastro e all’omicidio colposo.

“Oggi un raggio di sole ha colpito i nostri cuori lacerati dal dolore. Era ciò che ci aspettavamo, una risposta dallo Stato contro una parte di esso che non ha funzionato e non ha garantito i principi sanciti dalla Costituzione ai suoi cittadini – fa sapere il comitato Vittime di Rigopiano – La nostra perseveranza alla ricerca della verità e delle responsabilità in ogni ordine e grado ha dato i suoi frutti. Sedici mesi di presenza ferma e costante con dignità e rispetto delle istituzioni, quelle buone e che meritano tutto il nostro rispetto, alla fine ci hanno dato ragione ed hanno premiato la nostra tenacia”. “Ora non ci aspettiamo processi sommari, ma solo verità e giustizia. Quella vera e che nasce da quella parte buona e sicura dello Stato che funziona. Un grazie a tutti gli inquirenti che hanno dimostrato che il nostro Paese ha ancora tanto valore da rendere ai suoi cittadini”.