Società

Michele Serra, è ora di scendere dall’amaca e tornare a camminare

di Paolo Francesco Simonini 

Ho amato Michele Serra e c’è una parte di lui che amerò sempre.  Cuore è l’unico giornale che ho comprato regolarmente in vita mia, l’unico che ho aspettato con ansia che uscisse in edicola. 44 Falsi vive sul mio comodino. Il Nuovo che Avanza ancora mi parla. E anche leggendo il suo recente Sdraiati ho ritrovato – ancora in piedi – tutta la sua onestà intellettuale.

Ma succede che anche esseri umani speciali come lui – poeti, persone in cui i sentimenti e la mente camminano insieme – a un certo punto si stanchino. La coscienza richiede una lotta e lottare è faticoso. A un certo punto, il carburante comincia a mancare. Il fuoco si affievolisce, il passo rallenta. Si fermano. Si siedono. Si raffreddano.
Succede. E’ legittimo e comprensibile. Che Francesco Guccini a un certo punto scriva L’avvelenata, e una parte del poeta e dell’uomo che era rinunci alla lotta. Che Pino Daniele scriva “E cerca ‘e me capì” e poi si dedichi soprattutto alla musica, per alleviare un po’ la sofferenza. Che Roberto Benigni – a forza di rallentare – si ritrovi al fianco di una persona come Renzi.

Perché succede? Forse per ognuno la risposta è diversa. Ma ci sono delle eccezioni. Nel suo ultimo disco Anime Salve (il titolo sembra di buon auspicio) Fabrizio De André apre le danze con Princesa, dedicata a un trans. Continua con Khorakhané, dedicata ai rom. Il famoso e celebrato Fabrizio De André, alla fine, ancora cammina di buon passo, ancora lotta, ancora vive e canta la sofferenza degli emarginati, degli ultimi.

Fabrizio De André si è sottratto alla luce della gloria, ai grandi palcoscenici, alle cattedre, ai salotti, alle rubriche, ai luoghi dove discettare su cosa è buono e cosa no. Si è sottratto alle facili soste del successo, all’inizio brevi poi sempre più lunghe. Cosa lo ha aiutato? La coscienza della morte in agguato? La sua incredibile umanità? Le sue prigioni sarde? Lo sa solo lui. Ma il guerriero è rimasto un guerriero, e il poeta è rimasto un poeta, tutto intero, fino alla fine. E magari oltre.

Caro Michele. Nessuna ombra su ciò che ci hai dato. Ma non ti piacerebbe scendere dall’amaca e ricominciare a camminare, sentire il vento frizzante che porta via la polvere? Riprendere la vecchia strada di montagna, inevitabilmente in salita, che però ci porta a vedere sempre più lontano?

Camminando, forse il fuoco ritorna.

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