Diritti

25 aprile, “la Liberazione non è completa fino a quando non si garantiscono i diritti sociali e il reddito di dignità”

La Rete dei numeri pari a Palermo per parlare di diritto alla casa, servizi pubblici e reddito minimo garantito. Che secondo il movimento, nato su impulso di gruppo Abele e Libera di Don Ciotti e Rete della conoscenza, deve prendere la forma di un reddito individuale incondizionato. Diverso sia da quello di inclusione del governo Gentiloni ("vessatorio") sia da quello di cittadinanza proposto da M5s

La Liberazione non sarà completa fino a quando non saranno garantiti diritti sociali minimi anche ai 4,7 milioni di italiani che vivono sotto la soglia di povertà assoluta. E’ partito da questa considerazione, che richiama alla mente il discorso sulla Costituzione di Piero Calamandrei, il tour siciliano della Rete dei numeri pari. Che il 25 aprile ha ricordato la Resistenza discutendo a Palermo – dove in testa al corteo c’era il sindaco Leoluca Orlando – di diritto alla casa, servizi pubblici e soprattutto reddito minimo garantito. Secondo la Rete, nata lo scorso anno su impulso di gruppo Abele Libera di Don Ciotti e della Rete della Conoscenza, occorre riconoscere a ogni cittadino un “reddito di dignità“, non condizionato alla ricerca di lavoro e pari al 60% del reddito mediano pro capite – circa 800 euro al mese – come previsto dalle raccomandazioni del Parlamento europeo sulla base della Carta di Nizza.

“Il fatto che in Italia ci siano quasi 5 milioni di poveri assoluti e 9 milioni di persone in povertà relativa è illegale, perché lo Stato non sta garantendo i diritti fondamentali sanciti dalla Costituzione”, attacca Giuseppe De Marzo, coordinatore nazionale del movimento, a cui hanno aderito centinaia di associazioni, cooperative, onlus e progetti di mutualismo sociale. “Per tutelare l’intangibilità della dignità umana, che era il fine ultimo della Carta uscita dalla Seconda guerra mondiale, i costituenti decisero di accettare l’economia di mercato ma affermare in parallelo la tutela dei diritti sociali. Solo che le politiche di austerità se li sono mangiati e mentre i miliardari italiani triplicavano sono triplicati anche i poveri assoluti. Il buco della crisi finanziaria lo stanno pagando i più deboli: nel 2010, 300 economisti in una lettera aperta avvertirono governo e Parlamento che la strategia “lacrime e sangue” avrebbe fatto salire la disoccupazione e compresso ulteriormente i redditi. Non sono stati ascoltati. Ora, per attualizzare i valori della Resistenza, le politiche sociali vanno modificate. E si deve partire dal reddito per tutti”.

Il Reddito di inclusione (Rei) messo in campo dal governo Gentiloni attuando un ddl di Renzi non ha nessuna delle caratteristiche indispensabili secondo la Rete. “Al contrario: è famigliare invece che individuale, è ampiamente sottofinanziato, va solo a un terzo di quanti ne avrebbero diritto e crea un meccanismo di vessazione del beneficiario perché, per esempio, il limite Isee è così basso che se tuo figlio ha il motorino te lo tolgono. E per non perderlo sei obbligato ad accettare offerte di lavoro non legate al tuo percorso formativo. In più dura solo 12 mesi rinnovabili per altri sei. Poi basta, anche se alla fine di quel periodo la tua condizione non è migliorata. Così si istituzionalizza la povertà”. La proposta della Rete si differenzia però anche dal reddito di cittadinanza ipotizzato dai 5 Stelle: il reddito di dignità, spiega Di Marzo, dovrebbe essere “del tutto incondizionato”. L’inclusione sociale e lavorativa dovrebbe procedere su un binario parallelo, senza che il lavoro “purchessia” diventi un requisito costringendo a dire di sì a proposte non dignitose o lontanissime dalle competenze del beneficiario.

E le coperture? “Secondo l’Istat ci vogliono 15 miliardi: per gli 80 euro, che hanno avuto un impatto minimo sulla domanda, ne spendiamo più di 9. E ben 12,5 miliardi sono andati agli sgravi per le assunzioni con il nuovo contratto a tutele crescenti, che non hanno diminuito la precarietà né la povertà. Ci sono tante poste di bilancio usate male che possono essere riallocate”. Accanto al reddito occorrono poi servizi sociali di qualità forniti dagli enti locali: per garantirli, secondo la Rete, le relative spese dovrebbero essere escluse dal Patto di stabilità interno.

“In Sicilia vogliamo anche verificare se c’è spazio per una proposta di legge di iniziativa popolare sul welfare municipale. Servono 10mila firme”, anticipa De Marzo durante la seconda tappa del tour siciliano partito da Agrigento, dove la gestione idrica è oggetto di un’inchiesta che ipotizza l’associazione a delinquere. “Non a caso al centro dell’incontro di Agrigento abbiamo messo il tema dell’acqua pubblica: anche le ingiustizie ambientali generano povertà e disuguaglianza. A Milazzo e Messina ci concentreremo sulla lotta contro gli inceneritori, un’altra faccia di queste imgiutizie. Nelle scuole, poi, abbiamo parlato di lotta alla mafia e alla corruzione, direttamente legate al reddito di dignità. Perché, come diceva Pio La Torre, la giustizia sociale è la precondizione per sconfiggere le mafie”.