Cervelli in fuga

Fuori dall’Italia ci sono finito per caso ed è stato come scoprire il mondo reale

Inizio questo blog parlando un po’ di me. Mi sono trasferito all’estero dieci anni fa, prima ad Abu Dhabi poi (a partire dal 2015) in estremo Oriente, base a Singapore. Fuori dall’Italia ci sono finito un po’ per caso, a 35 anni e dopo una carriera militare quasi ventennale.

Non che fossi proprio vecchio, però a quell’età credevo di aver visto della vita già quasi tutto: per lavoro l’Italia l’avevo girata in lungo e largo e di Roma, soprattutto, conoscevo ormai bene i “palazzi”, le loro dinamiche di potere e i tipi umani che li popolano, quel Generone – per dirla alla Dagospia – che divide fra indignazione, invidia e timore reverenziale. Lo ammetto, pensavo anche io di far parte della élite, di questa classe di migliori, con buoni studi e ottime conoscenze e quindi con un lavoro prestigioso e ben pagato. Insomma, avevo studiato, mi ero dato da fare e quindi avevo la vita e la società mi avevano ricompensato. Nessuna scorciatoia, ero bravo e la meritocrazia che in Italia non esiste era solo un’invenzione dei mediocri.

Poi un giorno mi sono ritrovato ad Abu Dhabi, da solo, con il mio inglese poverissimo (ma a fare lo sborone coi brocardi latini in compenso ero inarrivabile), a far fatica anche a comprare un litro di latte. Io, che fino a una settimana prima mi sentivo in cima al mondo. È stato come risvegliarsi da un lungo sogno e scoprire finalmente che il “Mondo reale” (con la “m” maiuscola) è un altro, diverso da quello autoreferenziale – o come direi oggi self entitled – in cui avevo vissuto fino a quel momento. Ero uscito dalla caverna di Platone e avevo davanti a me, finalmente, la natura vera e cruda delle cose: non ero altro che un individuo in mezzo a 6 miliardi di pari, che del mondo e della vita non aveva visto ancora praticamente nulla e che basta allargare lo zoom, come su Google maps, e quello che sembra (o si sente) grande diventa infinitamente piccolo.

Come tutti i viaggi iniziatici, è stata dura e non sono mancati rimpianti e ripensamenti ma alla fine ho capito più di me stesso, del mondo e della vita negli ultimi dieci anni di quanto ho fatto nei 35 precedenti.

Ma la scoperta più importante è quella che ho fatto sui tanti connazionali che vivono all’estero, soprattutto quelli più giovani di me – i cosiddetti Millennials – che sono rimasti fregati dalla crisi e dalla globalizzazione. Ne ho incontrati molti in questi anni, “cervelli in fuga” che spesso non sono necessariamente “cervelli”, scienziati destinati al Nobel e sfuggiti da un call center italiano, ma camerieri, ristoratori, imprenditori, professionisti di ogni tipo accomunati tutti da una caratteristica: l’energia positiva, pratica e determinata di chi, di fronte a regole che non funzionano, semplicemente cerca e trova un altro sistema e altre regole in cui realizzare le proprie aspirazioni e i propri progetti. Senza rimpianti, senza vittimismo.

Di storie ne potrei raccontare molte: da Marta e Sandro, che con un dottorato in veterinaria aspiravano a entrare in Forestale come semplici guardie e dopo tre concorsi falliti sono ora entrambi professori in una università inglese, a Gennaro che nell’agro Nocerino Sarnese – nonostante anni di dedizione e lavoro duro – era incastrato in una vita di compromessi e precariato e ora a Sidney è un ristoratore affermato. Marta, Sandro, Gennaro e tanti altri sono oggi nel mio pantheon personale e hanno preso il posto di quel Generone a cui per tanti anni mi ero riferito.

Nel tempo sono arrivato a pensare che esiste un’Italia migliore fuori dall’Italia. Ho creduto che bastasse prendere una manciata di questi italians e metterli in quei palazzi che frequentavo dieci anni fa per far funzionare a dovere questo nostro benedetto Paese. So bene che non è così e che è oltretutto ingeneroso affermare una differenza qualitativa fra chi rimane e chi va. So che chi resta è altrettanto competente e capace e in quanto a determinazione, ne deve avere a tonnellate per combattere i mille mulini a vento di questa Italia.

Ecco, a questi italiani che resistono voglio raccontare sia l’Italia vista da lontano che l’Asia (futuro prossimo del mondo e quindi, ci piaccia o meno, anche nostro) vista da vicino. Perché si va avanti anche in salita, risoluti e a testa bassa, ma è importante tenere sempre lo sguardo alto e vedere cosa succede oltre il recinto di casa.