Politica

Lucca, una risposta all’Amaca classista di Michele Serra

La colpa non è di nessuno. Semmai dei poveri. Sembrano i Monty Python, invece è Michele Serra, che commentando i fatti di Lucca, dove un ragazzino è stato filmato mentre teneva un atteggiamento violento e intimidatorio nei confronti di un professore, ha scritto che “il livello di educazione, di padronanza dei gesti e delle parole, di rispetto delle regole è direttamente proporzionale al ceto sociale di provenienza”. Questa affermazione intenderebbe forse denunciare la struttura classista della nostra società, ma siccome è falsa non vuole, in realtà, che riprodurla. I poveri delinquono di più, sono ignoranti come i loro genitori, sono aggressivi e impreparati alla vita, dice Serra. Il che significa che i ricchi, i figli dei dottori, sono migliori, e lo sono deterministicamente. Per parodiare quanto Marx diceva a proposito della monarchia – e per prendere in giro Serra e le sue ottocentesche posizioni – si potrebbe dire che “il segreto dell’andare bene a scuola ed essere educati è la zoologia”.

Naturalmente il discorso scivola sul populismo, inteso da Serra come una generica esaltazione del popolo, dunque della massa informe. Una vecchia storia, che risale alla distinzione delle forme di governo nell’antichità classica, e che arriva, frusta, ai nostri tempi. Aristotele distingueva la politeia dalla democrazia come governo a vantaggio dei poveri, condotto dai poveri, dalla plebe, una forma corrotta, così come per Rousseau la democrazia si trasforma in oclocrazia. Ma non meriterebbe altro commento un’uscita del genere su un fatto di cronaca, se essa, andando oltre il fatto stesso, non denunciasse involontariamente tutta l’insipienza delle classi dirigenti nel cogliere i fenomeni, tutta la chiusura che esse dimostrano nei confronti di quelle che, non capendo, indicano come minacce ai loro status.

Intanto partirei da questo fatto: i riformatori e le carceri sono pieni di poveri perché il diritto penale e dell’esecuzione penale prediligono la repressione di fenomeni legati alla povertà e alla subalternità. Detto in altri termini, in carcere vanno solo i poveracci non perché sono poveracci, ma perché il sistema penale preferisce punire loro piuttosto che, per esempio, i colletti bianchi. Questo però non è un dato universale: nella Repubblica Popolare Cinese, i reati considerati di maggiore pericolosità sociale e di maggiore offensività verso la comunità non sono, per esempio, lo spaccio, ma i reati contro lo Stato e la pubblica amministrazione. Non sto dicendo di preferire la Cina (perché lì per esempio questi criteri si abbattono sul dissenso, anche quello espresso in forma religiosa), sto dicendo che la composizione sociale dei detenuti rispecchia le politiche penali, che si fondano su scelte che derivano da specifiche impostazioni culturali, filosofiche, religiose, etc. Per stare all’Europa, l’Italia punisce un colletto bianco ogni 65 pusher, mentre in Germania il numero dei detenuti della prima categoria sopravanza quelli della seconda.

Ma in generale Serra non fa che ripetere il mantra borghese della virtù salvifica della cultura, che deve essere necessariamente mediata dalla ‘buona educazione’. Non sarà compito mio citare statistiche e dati. Faccio mio quanto ha affermato la saggista e insegnante Claudia Boscolo su Quora: “In nessun modo un istituto tecnico può essere considerato un refugium peccatorum, un’ultima spiaggia, o la scuola dei bulli o dei poco dotati. In realtà, l’istituto tecnico in Italia è una scuola molto seria, dove si studia molto e materie impegnative. È anche, contrariamente a quanto si crede, la scuola superiore dove si boccia di più. In nessun caso si può pensare che all’istituto tecnico passino tutti, che il diploma sia più facile e altre banalità associate a un percorso di studio non liceale da chi – avendo frequentato un liceo – non ha un’esperienza di prima mano di questo indirizzo di studi”.

Forse ciò che invece dimostra l’articolo di Serra è che le vicende di Lucca de te fabula narratur: della incapacità, cioè, degli adulti, dei vecchi, della classe dirigente, degli educati e dei capaci, del ceto medio riflessivo, di guidare i giovani, il popolo, le masse, verso le magnifiche sorti e progressive di cui essi sono i (self-appointed) cantori. E allora l’inganno non è nell’aver convinto le persone che siamo tutti uguali, l’inganno consiste nell’aver detto che quelle sorti non solo erano vere, ma che erano a portata di mano di tutti. E se il populismo, come lo chiama Serra con orrore, dilaga, è per la consapevolezza dell’irraggiungibilità dei livelli di benessere, ricchezza, disponibilità, possibilità di prendere l’ascensore sociale dei genitori.