Politica

L’ingenuo Di Maio che crede che Salvini sia meno impresentabile di B.

Nella commedia dell’assurdo che stiamo vivendo dopo il 4 marzo, una nota a parte merita il processo di beatificazione promosso dal capo politico dei Cinquestelle nei confronti del bullo padano Matteo Salvini, inseguito e blandito come l’interlocutore per partnership governative in assoluto più sintonico e affidabile.

Insomma, siamo davanti a una scelta politica altamente acrobatica, dietro la quale faranno seguito ulteriori mosse stupefacenti, oppure Luigi Di Maio è ormai totalmente nel pallone; tanto da non rendersi conto di chi è davvero il personaggio con cui sta flirtando da un mese? E non basta a giustificare il leader pentastellato, intento a coltivare nuove affinità elettive, la presa d’atto che siamo davanti al caso di un giovanottello la cui estrazione è quella piccola borghesia meridionale più tradizionalista e destrorsa; un tempo affascinata dalla parlantina di Giorgio Almirante, indifferente ai suoi trascorsi tra la redazione de La difesa della razza e le ultime raffiche di Salò, incurante del fetore emanato dalla paccottiglia in decomposizione che costituiva la sedicente cultura della Destra nostalgico/reazionaria italiana.

La genìa dei benpensanti, che solitamente sognano un posto nella pubblica amministrazione e considerano il massimo della distinzione vestirsi da bancario, sempre ossessionati dal timore che un qualche proletariato possa mettere a repentaglio il loro precario e pur modesto decoro.

Gente con tale ginepraio di retro-pensierini legge-e-ordine ficcato in testa può non rendersi conto di quale tasso di inquinamento rappresenti per la politica italiana l’importazione fatta dal Salvini di tutta la feccia che sgorga dai meandri di un Occidente in caduta libera; che svende per le sue paranoie e nevrosi un prezioso patrimonio di civiltà. Il mix di xenofobia, omofobia, antisemitismo e pura sopraffazione da skinhead che sta assicurando importanti dividendi elettorali agli imprenditori della paura tipo Marine Le Pen o i sovranisti post-comunisti del Gruppo di Visegrad (Ungheria, Polonia, Slovacchia e Repubblica Ceca); i promotori del processo di degenerazione in democratura dell’attuale ordine europeo traballante (lo svuotamento dei principi democratici ridotti a puri rituali dietro i quali cresce l’autoritarismo degli “uomini forti”, reclamati a gran voce dalla piccola gente spaventata). E tutto questo soltanto per rilanciare una Lega che andava alla deriva tra le lauree albanesi del Trota e i diamanti di Belsito.

Forse è troppo pretendere da Di Maio (e dai suoi spin-doctor provenienti dalle più improbabili sedi universitarie: dal Link Campus di Vincenzo Scotti al Sudafrica) che ci si renda conto di come il suo ipotizzato partner di governo sia il portavoce/propagandista di una proposta politica devastante, che condannerebbe il nostro Paese all’impresentabilità; alla sola interlocuzione con satrapi mediorientali tipo Viktor Orban o Jaroslaw Kaczynskj. Però si potrebbe almeno informare dalla cronaca, scoprendo le strane frequentazioni salviniane con neofascisti vari, CasaPound in testa, le rissa nei campi rom a scopo propagandistico, gli inseguimenti di un selfie con il super-bullo Trump (di cui riprende gli slogan più beceramente isolazionisti) o le passeggiate sulla Piazza Rossa strizzando l’occhio a Putin (e ai suoi petroldollari?). Al di là della distinzione fasulla tra “nuovo” e “vecchio”, che tanto affascina l’ingenuo Di Maio, Matteo Salvini è davvero presentabile? E in che cosa sarebbe “nuovo”?

Certo, il capo della Lega non ospita in casa come stalliere un mafioso pregiudicato, non evade tasse miliardarie, tanto da essere condannato in Cassazione, non corrompe parlamentari né fa incetta di ragazzotte da vecchio sporcaccione come Berlusconi. Non celebra puerili revival come la bambolina fiamma-tricolore Meloni. Però ce ne vuole davvero tanta di fantasia per immaginare il felpato nelle vesti di statista.

Persino l’indigeribile Pd, una volta evacuato Renzi, parrebbe più commestibile.