Scuola

Scuola, la lezione frontale ha fatto la storia ma ora è tempo di dirle addio

Cara lezione frontale, addio. Sabato al teatro Carcano di Milano si celebrerà il funerale di un modo di insegnare che ha fatto la storia ma che è da archiviare. A dare l’ultimo saluto alla cattedra e al suo predellino, all’insegnante che ama stare davanti ai suoi studenti come se dovesse essere l’unico depositario della verità, saranno centinaia di docenti chiamati al commiato della lezione dal pedagogista Daniele Novara del Centro psicopedagogico per l’educazione e la prevenzione dei conflitti (Cpp) di Piacenza.

L’allievo di Danilo Dolci, degno ereditario della maieutica, finalmente metterà una pietra su un modello di insegnamento che dovrebbe essere destinato solo a far parte dei ricordi. “La scuola italiana – spiega Novara – ha un problema che si perde nella notte dei tempi. Questo problema non riguarda l’architettura tradizionale del sistema scolastico, i cosiddetti cicli d’istruzione, né la distribuzione delle materie nel curriculo. Non è l’abbandono scolastico o i voti numerici e neppure la formazione degli insegnanti e il sistema di valutazione. È in realtà un vizio di forma, legato alla storia della scuola in Italia, e a tutto quell’insieme di idee, convinzioni e credenze, quelli che si definiscono gli “elementi impliciti”, su come si trasmettono i contenuti dell’insegnamento. Il problema della scuola italiana nasce da un equivoco, profondamente radicato e pervasivo, che ha un nome preciso: lezione frontale”.

Sia chiaro: il problema non è dei più semplici. Abbiamo tutti presenti le classi dei nostri figli o nipoti: nella maggior parte c’è ancora la cattedra, la lavagna, i banchi separati uno a uno. Sembra che l’esperienza di Mario Lodi (che aveva messo da parte la cattedra) e di Maria Montessori (che stava in mezzo ai bambini come faceva anche Alberto Manzi), sia caduta nel vuoto.

Eppure il primo atto rivoluzionario di un insegnate oggi è proprio quello di cambiare il suo modo di fare lezione. “Oggi – spiega Novara – siamo passati dal manoscritto al tablet, ma il sistema resta sostanzialmente lo stesso: l’assunto che muove comunque ancora gran parte della didattica della scuola italiana è che per far imparare qualcosa a qualcuno, e quindi per insegnare, il metodo più scontato, lineare e apparentemente efficace sia quello di utilizzare il sistema della lettura di un testo associata a una spiegazione”.

Non è il parere di un singolo pedagogista estremista. Le parole di Novara fanno rima con quelle del presidente dell’Indire, l’istituto nazionale di documentazione, innovazione e ricerca educativa che nel libro Dall’aula all’ambiente di apprendimento scrive: “L’ambiente non cambia certo per l’ingresso di qualche strumento nuovo, anzi rafforza i suoi caratteri e la lavagna interattiva multimediale (Lim) potenzia la lezione frontale”.

La vera innovazione sta nel ripensare il nostro modo di fare lezione dando una degna sepoltura a quella frontale. Gli esempi non mancano: dalla scuola senza zaino, alla flipnet alla quale Maurizio Maglioni ha dedicato per la Erickson il suo recente Capovolgiamo la scuola ma il problema resta chiarire che idea abbiamo di apprendimento. Si può apprendere da soli? Quanto conta la motricità nell’apprendimento? Chi insegna all’insegnante come far apprendere? Che ruolo ha il docente oggi in aula? Finalmente sabato diremo un bel “vaffa” alla lezione frontale. E forse sarà l’inizio di una nuova era. Forse.