Cronaca

Siracusa, stupirsi se il Museo del Papiro vende (per non morire) è da ipocriti. Potevamo salvarlo nel 1999

Un museo del papiro che vende i suoi papiri “rende la vicenda particolarmente surreale: mi chiedo che tipo di messaggio il museo pensi di trasmettere alle nuove generazioni, vendendo manoscritti antichi di cui dovrebbe essere custode”. Roberta Mazza, curatrice del museo di Manchester, ha scoperto la notizia. Sulla pagina Facebook e sul sito del Museo del Papiro, l’annuncio prima pubblicato, poi rimosso. Dopo il clamore provocato, la marcia indietro. Così il Museo del papiro “Corrado Basile” nell’ex Convento di Sant’Agostino in Ortigia, a Siracusa, ha trovato il modo di farsi pubblicità. Di farsi conoscere anche dai non addetti ai lavori.

Eppure, come si legge sul sito, il Museo “è l’unico esistente dedicato interamente al papiro e ai suoi usi, creato e gestito dall’Istituto internazionale del Papiro, è stato fondato nel 1987 da Corrado Basile e da Anna Di Natale, ed è aperto al pubblico dal 1989”.

Eppure, come si legge sul sito, “Il museo si caratterizza per due aspetti: da una parte l’attività museale, svolta attraverso il recupero, la conservazione e la divulgazione delle testimonianze della cultura del papiro; dall’altra la ricerca scientifica e storica, che riguarda gli studi sulla pianta, sulla manifattura e trattamento della carta papiracea nelle diverse epoche e sui problemi di conservazione dei papiri antichi”.

Eppure l’esposizione museale può contare, tra l’altro, su papiri dal XV secolo a.C. all’VIII secolo d.C.; frammenti di papiri e di materiali lignei carbonizzati nell’eruzione del Vesuvio del 79 d.C.; decorazioni parietali egizie che illustrano il papiro e documentano gli usi che se ne facevano.

Un luogo unico, che potrà beneficiare di un contributo regionale annuo pari a 15.750 euro. Evidentemente poco per continuare le sue attività, mantenendo le sue collezioni. Così ecco l’idea. Vendere per provare a sopravvivere. Un paradosso, evidentemente. Le istituzioni museali dovrebbero implementare le proprie collezioni, non ridurle. Altrimenti si omologherebbero a quei nobili decaduti, di ogni età, che cominciano a disfarsi degli arredi del loro palazzo. Un pezzo dopo l’altro, con la speranza che sia sufficiente. Già, perché il problema sono le risorse. Anche in questa, forse più che in altre occasioni. Un problema esistente già agli inizi del Museo.

In un disegno di legge del dicembre 1999, il senatore del Partito Popolare Italiano Giuseppe Lo Curzio proponeva “l’erogazione di un contributo ordinario annuo di lire 250 milioni all’Istituto internazionale del Papiro, perché possa garantire la fruizione del Museo del papiro e svolgere nella maniera più adeguata la propria attività didattica, scientifica e di divulgazione”. Soldi necessari per programmare le proprie attività. Considerata l’ “inadeguatezza delle fonti di finanziamento rispetto a quanto necessario per garantire la fruizione del Museo del papiro”.

Ma anche considerata l’ “impossibilità di programmare il cash-flow dell’Istituto a causa dell’incertezza sul quantum degli importi erogabili dagli enti e, soprattutto, sui tempi di erogazione, che provoca non poche difficoltà economiche per il necessario ricorso al credito bancario, con il conseguente aggravio degli interessi passivi”.

Del disegno di legge non se ne è fatto nulla. La precarietà iniziale, si è sclerotizzata. Quindi stupirsi di quanto accade ora al Museo è un po’ ipocrita. “È evidente che tale situazione compromette seriamente la sopravvivenza stessa dell’istituzione, con gravissimo nocumento per la cultura internazionale”, scriveva il sen. Lo Cascio presentando il suo ddl. Dopo più di 19 anni, i nodi sembrano venuti al pettine.