Lobby

Cassa Depositi e Prestiti, Di Maio la vuole trasformare in banca ma farle cambiare mestiere non è facile. Questi gli ostacoli

L'operazione, se portata a termine, rischia di essere addirittura controproducente per effetto delle stringenti regole comunitarie sugli accantonamenti che le banche sono obbligate a fare in proporzione agli investimenti. Per non parlare del fatto che la trasformazione di Cdp in istituto di credito, fondazioni bancarie permettendo, comporterebbe l'obbligo di separare (e quindi cedere) le attività industriali da quelle bancarie

Una banca pubblica di investimenti sotto il cappello di Cassa Depositi e prestiti. È una promessa di realizzazione davvero difficile quella del leader 5 Stelle Luigi Di Maio  che l’ha fatta con l’idea di superare così la stretta creditizia che soffoca il sistema produttivo delle pmi. Peccato però che l’operazione, se portata a termine, rischi di essere addirittura controproducente per effetto delle stringenti regole comunitarie sugli accantonamenti che le banche sono obbligate a fare in proporzione agli investimenti. Per non parlare del fatto che la trasformazione di Cdp in istituto di credito, fondazioni bancarie permettendo, comporterebbe l’obbligo di separare (e quindi cedere) le attività industriali da quelle bancarie.

“So bene quanto le piccole imprese abbiano problemi di accesso al credito – ha dichiarato Di Maio nel corso di un incontro con gli imprenditori a Termoli – oggi accede al credito chi i soldi li ha già e questo perché le grandi banche stanno abbandonando il territorio”, virando “sulla finanza”. Per il leader a 5Stelle è quindi ora di cambiare registro. In che modo? “Con un meccanismo usato dai francesi e dagli spagnoli e che si chiama banca pubblica degli investimenti. Noi abbiamo la Cassa depositi e prestiti che è una mega banca, anche se non è una banca” e che può lavorare in questa direzione. “Da lì, dalla Cdp – secondo Di Maio – può nascere quel soggetto che si chiama banca pubblica degli investimenti e che cominci a fare investimenti pubblici nelle infrastrutture e fornisca alle imprese l’accesso al credito a tassi moderati”.

Il percorso è però decisamente in salita perché se Cdp diventasse a tutti gli effetti una banca sarebbe sottoposta alle regole di Basilea III e dovrebbe di conseguenza investire sul territorio meno di quanto non faccia oggi (33,7 miliardi solo nel 2017). Non basta. Anche il solo controllo di una banca rischierebbe di compromettere l’attuale operatività di Cdp che sarebbe obbligata a deconsolidare e a vendere tutte le partecipazioni industriali attualmente sotto il suo cappello. E’ del resto questo uno dei principali motivi per cui la Cassa non è potuta intervenire direttamente nel salvataggio del Monte dei Paschi di Siena.

Inoltre Cdp è formalmente una società per azioni. Toccherà quindi ai suoi soci, il Tesoro e le Fondazioni bancarie, esprimersi a favore di una eventuale trasformazione o dello sviluppo di un nuovo istituto di credito. C’è da scommettere che l’idea di avere un nuovo concorrente a capitale pubblico non è gradita alle Fondazioni bancarie che, oltre ad essere proprietarie del 18% circa di Cdp, detengono anche un potere di veto sulle questioni di carattere straordinario. Infine, una Cdp in versione bancaria, farebbe a pugni con la controllata Poste che raccoglie per suo conto il risparmio postale degli italiani e per questo è ampiamente remunerata.

Insomma, nonostante i buoni propositi, la banca pubblica auspicata da Di Maio non sembra affatto un progetto facile da realizzare. Se n’è accorto anche il sindacato con il segretario Cgil, Susanna Camusso, che ha evidenziato come “la proposta di Di Maio di una banca pubblica di investimenti si presta ad ambiguità”. A meno che i 5Stelle non intendano solo replicare quanto fatto in Francia con BpiFrance, che è controllata al 50% dallo Stato e al 50% dalla Cdp d’oltralpe, o la tedesca Kfw, interamente pubblica. In questo caso, si tratterebbe solo di una replica di quanto già fa la Cdp attraverso la divisione equity e al Fondo strategico italiano.