Società

Sesso e disabilità, come ho vissuto il passatempo preferito degli adolescenti

#diversodachi

Finalmente entriamo nel vivo del tema sesso e disabilità, e lo so che non vedevate l’ora. Nella puntata precedente ho annunciato la volontà di abbattere il muro di Berlino della disabilità – ovvero il pregiudizio che vede il disabile come asessuato o da non considerare sessualmente – e raccontato delle difficoltà che il francesino incontra durante l’adolescenza.

Ricordo che è in questo periodo della vita che la francesina riduce la capacità di movimento del suo assistito, le quali – sommate alla posizione carrozzata e a una voce più bassa – concorrono ad acuire le insicurezze, la timidezza, le paure e a portare l’autostima sotto il copertone delle ruote.

Oltre a questo al francesino manca un aspetto molto importante a una crescita psicofisica armonica, aspetto sottovalutato da chi ne ha goduto appieno (sottolineo goduto) e che incide negativamente su chi non ne ha potuto godere. Perché qual è l’attività preferita dagli adolescenti? Dai, lo sappiamo tutti che è quella cosa da tenere segreta, nascosta e che un tempo faceva diventare ciechi: ovvero masturbarsi!

Se per i giovani normodotati l’attività incriminata è normale, per la maggior parte dei francesini è impossibile, perché come fanno a darsi un “mano” se le braccia non possono muovere?

Fortunatamente per me non era così: seppur a fatica riuscivo a muoverle e sfortunatamente per voi oggi vi racconto come facevo a masturbarmi. Ohhh!

Innanzitutto l’operazione avveniva quando facevo la doccia e con una scusa poco credibile chiedevo di rimanere solo per un po’, poiché “adoravo” far salire l’acqua nella vasca (ero seduto su un seggiolino dentro la vasca). Non appena la porta del bagno veniva chiusa ecco che l’obelisco – salutiamo tutti l’obelisco – si metteva in posizione e mi guardava: «Sono pronto», e questo già mi metteva in ansia, in quanto il procedimento era duro – anzi, molto duro – e impegnativo.

Allora si aprivano le danze: per prima cosa dovevo puntare il gomito del braccio sinistro sulla coscia della gamba destra e con la mano sinistra prendere il braccio destro per aiutarlo a raggiungere i rubinetti della vasca, posti più in alto rispetto al seggiolino; da lì sfruttavo l’effetto molla delle dita per lanciare il braccio, che al volo veniva preso dall’altra mano e condotto al superattico dell’obelisco; una volta avvenuto l’approdo e per non stare con le mani in mano sfruttavo l’occasione e facevo dell’obelisco una piacevole leva del cambio (la fantasia dovrà pur servire a qualcosa).

Dopodiché non mi restava altro che scendere con la mano, lentamente ma molto stretto al “tronco”, fino a raggiungere il pianterreno. Arrivato a destinazione il problema era che non potevo più risalire, per cui niente ritmo all’operazione piacere, che si concludeva con un dispiacere: perché è sempre il ritmo a fare la differenza, non solo in musica.

L’unico modo che avevo per tornare al superattico era rifare il procedimento da capo, attività che ripetevo finché il braccio non ne poteva più: questa limitazione, a sua volta, mi impediva di arrivare a “meta” e di conoscere quindi il piacere che si poteva provare (solo immaginarlo), così come vedere il colore del piacere (lo scoprì qualche anno dopo).

Tuttavia mentre sentivo male all’avambraccio l’obelisco era raggiante e continuava a fissarmi: «Bene, grazie per avermi fatto il solletico: allora quando cominciamo?», e come facevo a dirgli che era tutto finito? Sapevo che ci sarebbe rimasto malissimo e questo avrebbe avuto ripercussioni su di me, perché il senso di frustrazione lo ricordo ancora. Ma alla doccia successiva si tornava in scena, del resto è sempre piacevole toccarsi, e al senso di frustrazione seguiva questa sagace riflessione: almeno così non corro il rischio di perdere la vista. Già non cammino, anche cieco no eh!

Un giorno però capitò qualcosa di peggiore della frustrazione: ero nella fase in cui lanciavo il braccio in direzione obelisco, quando per sbaglio presi dentro il rubinetto dell’acqua fredda e lo chiusi. Cominciò così a scendere acqua bollente sulla gamba, allora per prima cosa declassai l’obelisco a fagiolo (tanto per mantenere il legame con gli ortaggi) e solo dopo chiamai aiuto: era forse il caso di farmi beccare con le mani in fallo?

Purtroppo all’arrivo dei soccorsi la gamba era già diventata bordeaux, ma da questo increscioso fatto imparai una grossa verità: a masturbarsi non si diventa ciechi, ma ti si bruciano le gambe. Qualcuno può avvisare la Chiesa?