Viaggi

Buona Puglia a tutti, un viaggio che inizia a tavola e non può finire altrove

Giungo alla stazione di Bari centrale in un tardo pomeriggio di gennaio, sperando di trovare un po’ di ristoro dal pungente freddo bolognese. Da pugliese so bene che il vero inverno a queste latitudini non esiste; ma a Rutigliano – cittadina di origine medievale adagiata sui primi rialzi delle murge baresi – la colonnina non supera i dieci gradi e le previsioni meteo annunciano un weekend di intemperie. Un’elegante utilitaria nera mi conduce alle porte della Masseria Lama San Giorgio, dimora dell’800 ristrutturata con rispetto delle antiche architetture, conservando in bella vista pietra e tufo. Il camino è acceso e la sala padronale è stata messa in ghingheri, con una lunga tavola apparecchiata su cui si susseguono, in ordine sparso: parmigiana di melanzane, fave e lampascioni, bruschette, focaccia barese, ceci neri e cicerchie, il tutto condito con olio extravergine d’oliva e accompagnato da verdure dal sapore verace. Si può cominciare.

Il giorno successivo, dopo una colazione non all’altezza della cena, è il momento di rimettere il naso fuori ed esplorare spicchi di macchia mediterranea. Pioggia e vento non mollano la presa ma il maltempo, come scoprirete tra poche righe, mi riserverà un’inaspettata e positiva scoperta. Sul limitare di una profonda lama – le antichissime formazioni carsiche che rendono ancora oggi ricco di grotte e anfratti il territorio del sud-est barese – spunta la chiesetta rupestre dell’Annunziata, che fa da vedetta a una valle dalla forma irregolare ma omogenea nei colori, dipinta con il verde degli ulivi, il marrone Russet della terra bagnata e il beige dei muretti a secco.

La chiesetta venne eretta tra il XIII e il XIV secolo per accogliere i pellegrini di passaggio da Rutigliano e divenne il luogo in cui celebrare la cerimonia del “passa pas”, vetusta superstizione che prevedeva il passaggio tra i rami di un lentischio dei malati di ernia in cerca di liberazione dal dolore. Il rito fu ben presto considerato sacrilego dalla curia locale e lentamente abbandonato per trasformarsi nel secolo scorso in un evento dedicato all’amicizia, dove due persone si legano al braccio un nastro colorato e ufficializzano così il proprio legame.

La pioggerella insistente mi obbliga a interrompere la scampagnata, ed è così che nel programma di marcia viene inserita la visita al museo scolastico nel I Circolo didattico “G. Settanni”. Vi lascio immaginare le bocche storte e i nasi arricciati, miei e del mio gruppo di viaggio, che come per magia si socchiudono e distendono appena varcata la soglia. Inaugurato nel 2014 grazie all’opera paziente e appassionata della dirigente scolastica Maria Melpignano e dell’insegnante Palma Lucente, questo museo è un luogo della memoria in cui sono catalogati e conservati con cura migliaia di cimeli che rievocano lo spirito della scuola italiana dell’inizio del secolo scorso: fotografie in bianche e nero o virate in seppia di classi che non esistono più, pagelle scritte a mano con la grafia fronzuta dell’epoca, abbecedari incartapecoriti, atlanti stinti, austeri registri di classe, le tessere dell’Opera Nazionale Balilla e le bacchette usate per le punizioni corporali. Bella e realistica la ricostruzione di un’aula scolastica dei tempi, con la cattedra sulla pedana, le sedioline di legno dietro i banchi, i calamai, i pallottolieri e appesi sul muro, accanto al Crocifisso, i ritratti di Re, Papi e duci.

Il viaggio prosegue con la visita alla Torre Normanna – ultimo torrione di un antico fortilizio dalla cui sommità si ammira un panorama tra le cui maglie si intessono distese di vigneti di uve da tavola inframmezzate da masserie fortificate – e una passeggiata tra i vicoli del centro storico. Sono i giorni della Festa di Sant’Antonio Abate e della Fiera dei fischietti in terracotta, gli alfieri di questo territorio nonché i simboli autentici dell’arte dei figuli, gli artigiani che da generazioni si tramandano la sapienza per realizzarli. I primi manufatti risalgono alla notte dei tempi, quando Rutigliano era un insediamento neolitico ricco di terra rossa (una teoria vuole che il nome del paese derivi dal latino Rutilus, rossiccio) la cui abbondanza ha da sempre indirizzato l’economia locale verso l’uso della terracotta e della creta plasmata al torchio. Le raffigurazioni spaziano dal sacro – santi e politici – al profano con il celebre Gallo, il fischietto che per antica e radicata usanza viene donato dagli uomini di tutte le età alle proprie donne come dichiarazione d’amore e attestazione di virilità.

Un viaggio che ha preso le mosse con una cena non poteva che terminare a tavola. Si (ri)comincia con la cena al Bistrot 06, talmente abbondante che io e i commensali abbiamo dovuto chiedere di dimezzare le portate e il pranzo di saluti nella Torre Belvedere, dove l’ospite può degustare numerose bontà tipiche: capocollo di Martina Franca, caciocavalli artigianali, tocchetti di giungata alle noci e cavatelli con cozze e rucola. Buona Puglia a tutti.

Dove mangiare
Masseria Lama San Giorgio (Strada Provinciale 84 Adelfia-Rutigliano. Cell. 3483342889)
Bistrot 06 (Corso Mazzini, 70. Tel. 0804771488)
Torre Belvedere (Contrada Belvedere, 2. Tel. 0804762259)

Dove dormire
Masseria Lama San Giorgio

Le botteghe, le scuole e i musei
Ceramiche, sculture e fischietti di Pippo Moresca (Via Michele Troiano, 31. Tel. 0804770555)
Laboratorio d’arte di Laforgia Francesco (P.zza C. Battisti, 4. Cell. 3493933170)
Museo civico del fischietto “Domenico Divella” (Via L. Tarantini, 28. Tel. 0804767306)