Scuola

Come ti smonto le Indicazioni del Miur per una cittadinanza consapevole

Consiglio attenta lettura del documento Indicazioni Nazionali e Nuovi Scenari a cura del “Comitato Scientifico Nazionale per le Indicazioni Nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo di istruzione”, pubblicato dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, Dipartimento per il sistema educativo di istruzione e formazione, Direzione Generale per gli ordinamenti scolastici e la valutazione del sistema nazionale di istruzione. Alla faccia della sintesi. Comunque, non ci siamo proprio.

Al punto cinque, elencati in sette sotto-paragrafi si compendiano gli strumenti culturali per la cittadinanza: le lingue per la comunicazione e per la costruzione delle conoscenze; gli ambiti della storia e della geografia; il pensiero matematico, il pensiero computazionale; il pensiero scientifico, le arti per la cittadinanza, il corpo e il movimento. A parte che il pensiero è unico, scientifico e umanistico perché non esiste scienza senza filosofia e la filosofia è scienza, le definizioni che vengono utilizzate sono interessanti.

“La matematica fornisce strumenti per indagare e spiegare molti fenomeni del mondo che ci circonda, favorendo un approccio razionale ai problemi che la realtà pone e fornendo, quindi, un contributo importante alla costruzione di una cittadinanza consapevole”. Vero che non esiste una definizione generalmente condivisa di “matematica”, ma lo scopo della matematica non è fornire strumenti, bensì inventare un linguaggio per apprendere, per generare conoscenza. Quando si costruiscono modelli matematici validi di fenomeni reali, allora si comprende o si prevede la natura. Modelli, non strumenti.

Magnifica la conclusione: il pensiero matematico fornisce “un contributo importante alla costruzione di una cittadinanza consapevole”. Come non è dato di sapere. Altra perla: “Per pensiero computazionale si intende un processo mentale che consente di risolvere problemi di varia natura seguendo metodi e strumenti specifici pianificando una strategia”. Se la definizione di matematica è discutibile, quella di pensiero computazionale è semplicemente sbagliata: pianificazione e strategia non c’entrano per nulla. La strategia è lo schema di un flusso decisionale, per conseguire, in condizioni di incertezza, a seguito della formulazione esatta dell’obiettivo, i risultati prefissati, utilizzando al meglio un insieme di risorse limitate, determinando le azioni necessarie per la loro allocazione ottima, definendone la sequenza temporale.

Il pensiero computazionale è il processo mentale utilizzato per formulare un problema e per esprimerne la/e soluzione/i in modo che possa/possano essere utilizzata/e da un operatore, sia esso umano o una macchina. “Computational Thinking” non implica che si debba fare ricorso a un calcolatore elettronico. Computer erano chiamate le persone che effettuavano calcoli, a mano, utilizzando calcolatrici meccaniche. A manovella per intenderci. Il pensiero computazionale è un processo iterativo che si basa sulla sequenza ciclica di tre fasi:

1. Astrazione: formulazione del problema
2. Automazione: proposizione di una soluzione (non espressione: le espressioni possono avere diverse modalità di ascolto e non possono esistere in una macchina)
3. Analisi: esecuzione e valutazione della soluzione.

Se la soluzione funziona il ciclo si interrompe, altrimenti si ricomincia con una nuova, rivista, formulazione del problema e il ciclo continua. Nulla di nuovo sotto il sole. Sono almeno settanta anni che si parla di pensiero computazionale in varie forme. Di strada se n’è percorsa molta e oggi per pensiero computazionale si intende l’ insieme di competenze cognitive e di processi per la risoluzione di problemi che includono, ma non si limitano, agli aspetti che seguono:
usare l’astrazione e il riconoscimento di schemi per rappresentare il problema in modi nuovi e diversi;
organizzare e analizzare in modo logico i dati;
suddividere il problema in sotto problemi più piccoli,
approcciare il problema utilizzando l’interazione, la rappresentazione e la descrizione simbolica (benvenuta matematica…), e le operazioni logiche
identificare, analizzare e implementare soluzioni possibili con lo scopo di ottenere la migliore sequenza di passi/azioni e utilizzare in modo ottimo le risorse disponibili;
generalizzare questo processo di soluzione dei problemi alla maggiore varietà possibile di problemi.

Questo è lo schema di riferimento per sviluppare capacità, abilità e caratteristiche verticali, indispensabili alle prossime generazioni e in qualunque attività, funzione, responsabilità di oggi. Non è facile, sono 16 dimensioni e comprendono capacità linguistiche, matematiche, scientifiche, tecnologiche, economico-finanziarie, umanistiche e civiche; competenze di pensiero critico e soluzione di problemi, creatività, comunicazione, collaborazione; caratteristiche di curiosità, iniziativa, persistenza e determinazione, adattabilità, leadership, intelligenza sociale e culturale.

Preoccupa leggere nel documento ministeriale (pag. 13) che “la padronanza del coding e del pensiero computazionale possono aiutare le persone a governare le macchine e a comprenderne meglio il funzionamento, senza esserne invece dominati e asserviti in modo acritico”. Affermazione sbagliata nel contenuto e per l’italiano: il soggetto della frase è “padronanza”, il verbo deve essere “può”, non possono. Alla faccia della pubblica istruzione.

Già, il coding, ovvero il processo di progettazione, scrittura, verifica, limatura, ottimizzazione e risoluzione di errori del codice sorgente dei programmi per computer. Se ne occupano gli informatici di ogni ordine e grado. Se lo si mette accanto al pensiero computazionale è come avere a che fare con pulci ed elefanti. Certo, sono esseri viventi. Certo, interagiscono ma non sono proprio la stessa cosa. Si parla di coding e di pensiero computazionale senza saperne abbastanza e la cosa traspare dal documento ministeriale. Diciassette pagine che un minimo sforzo di sintesi avrebbe almeno dimezzato.

Preoccupa l’ineluttabilità delle macchine che dominano e a cui si è asserviti, figlie di una tecnologia brutta e cattiva. Non ci siamo. Il genere umano può progettare il proprio futuro, realizzarlo con conoscenza e competenze. Occorre insegnarle. Per farlo, per migliorare la scuola italiana, per realizzare i buoni propositi espressi nel Piano Nazionale Scuola Digitale (139 pagine) per scrivere, possibilmente in italiano visto l’uso smodato di termini inglesi, la “via italiana alla scuola digitale”, il pensiero più importante è quello dei docenti. Dobbiamo restaurare l’ecosistema di stima, rispetto, risorse, progettazione, visione a lungo termine che ha consentito loro per molti anni di fare bene il loro nobile, affascinante, difficilissimo mestiere e all’Italia di essere il bel Paese. Poi ben venga il pensiero computazionale, quello vero.