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‘Ndrangheta, arrestato l’ultimo latitante della cosca Pesce: 26 anni ma già considerato un reggente

La Direzione distrettuale antimafia e la polizia lo cercavano dal 4 aprile 2017 quando è sfuggito al provvedimento di fermo e alla successiva ordinanza di custodia cautelare in carcere emessi nell’ambito dell’operazione “Recherche” contro boss, affiliati e prestanome della cosca Pesce

Ormai era diventato l’unico latitante della cosca Pesce e nonostante la giovane età, 26 anni, era ritenuto il reggente della famiglia mafiosa della Piana di Gioia Tauro. Antonino Pesce è stato arrestato all’alba nella sua Rosarno. Gli uomini della Squadra mobile di Reggio Calabria, guidati da Francesco Rattà, lo hanno scovato al primo piano di un palazzo al centro del rione popolare “Oreste Marinelli”. Lì si sentiva sicuro tanto da nascondersi in un condominio dove ci sono altre sei famiglie. La Direzione distrettuale antimafia e la polizia lo cercavano dal 4 aprile 2017 quando è sfuggito al provvedimento di fermo e alla successiva ordinanza di custodia cautelare in carcere emessi nell’ambito dell’operazione “Recherche” contro boss, affiliati e prestanome della cosca Pesce.

Antonino Pesce è il figlio del boss Vincenzo detto “u Pacciu”, già condannato a 16 anni di carcere nel processo “All Inside” per associazione mafiosa e a 5 anni in primo grado nel processo “Reale 6” per scambio elettorale politico-mafioso. “U pacciu” aveva il compito di decidere, pianificare e individuare le azioni da compiere, gli obiettivi da perseguire e le attività economiche che servivano a riciclare il denaro della cosca. Per gli investigatori, la latitanza ha accresciuto il profilo di Antonino Pesce che, già nell’inchiesta “Recherche”, aveva un ruolo di direzione e capo del ramo della cosca. Assieme al fratello maggiore Savino (già detenuto), infatti, il ricercato impartiva ordini e direttive alla cosca, facendo leva proprio sullo spessore criminale del padre.

Spessore che gli era stato riconosciuto anche dagli altri esponenti della famiglia mafiosa come i boss Marcello e Antonino Pesce (quest’ultimo classe 1982, ndr) con i quali il latitante, secondo gli inquirenti, trattava la ripartizione delle zone d’influenza e i proventi del mercato del trasporto merci su gomma per conto terzi. Per la Dda il carisma e il potere intimidatorio dei fratelli Savino e Antonino Pesce costringeva alcuni trasportatori della zona di Rosarno a cedere a soggetti di loro fiducia i servizi di trasporto di prodotti agrumicoli.

Ritornando alla cattura, la squadra mobile da giorni aveva individuato il palazzo dove forse si nascondeva il latitante. Poche ore prima del blitz la svolta: grazie a una telecamera nascosta, Antonino Pesce è stato visto entrare nell’appartamento del rione popolare. Alla vista della polizia non ha opposto alcuna resistenza. Con sé non aveva armi né droga ma solo una consistente somma di denaro che probabilmente serviva a garantire la sua latitanza.