Il direttore del Corriere nel suo ultimo libro ("Un Paese senza leader") ripercorre la storia di tutti i "possibili statisti" impallinati da se stessi, dai propri alleati o compagni di partito. Come quando Berlusconi non telefonò a Toti dopo la vittoria alle Regionali o il ruolo dei renziani nell'abbattimento della candidatura di Prodi al Quirinale
“L’unico leader vero dentro alla politica è Matteo Renzi“. A leggere ora le parole pronunciate a una radio da Silvio Berlusconi si assapora l’esplosione del gusto della beffa: era il 16 novembre 2016, cioè mancavano 20
L’Italia sconta la mancanza di leader, dice Fontana nel suo libro. Anzi, soprattutto dall’inizio della Seconda Repubblica, divora i pochi – veri o presunti – che passano. “Anche se all’orizzonte spuntasse un leader, e al momento non se ne vedono, sarebbe subito neutralizzato da un sistema politico e istituzionale che sembra confezionato su misura per impedire l’ascesa di una nuova personalità e l’affermazione di una nuova prospettiva”. Quali sono le origini della crisi più recente, quella che ha spappolato il sistema politico in tanti pezzetti? Secondo Fontana sono tre: il primo è la legge elettorale, il secondo è che per vent’anni ci siamo illusi di votare il presidente del Consiglio ma era solo il trompe-l’oeil del berlusconismo che polarizzava tutto, pro e contro. Terzo motivo: “l’estrema superficialità dell’odierna comunicazione politica”, con “l’esaltazione dell’istante”, la “corrispondenza immediata tra quello che il politico dice e quello che pensa sia il ‘sentimento popolare’”. Finché come categoria di giudizio spunta la simpatia: Berlusconi è simpatico, D’Alema è antipatico, Renzi lo è diventato. Ed è anche per questo, in questa situazione tremebonda, che nasce il fenomeno M5s.
Finché ora il fenomeno è tutto opposto, con Paolo Gentiloni che è in cima a tutte le classifiche di gradimento e che è diventato l’ultima speranza di ripresa per il risultato elettorale del Pd. “Ma possiamo davvero fare a meno di una politica forte e delle riforme?” si chiede Fontana. “La costruzione di una nuova classe dirigente, consapevole delle sue responsabilità, è irrinunciabile. Se facciamo l’elenco dei leader bruciati è solo perché dobbiamo cercarne di nuovi finalmente all’altezza della situazione. Provando a cancellare i vizi e gli errori degli anni passati”.
E l’elenco di cui parla il direttore del Corriere è il grande cuore del suo libro, che passa in rassegna tutti i leader attuali e tra gli attuali, incredibilmente, c’è ancora Berlusconi: e poi Renzi, Salvini, Di Maio. Accanto a loro una sfilza di quelli già spariti o che stanno per sparire. Fa effetto vedere quanti leader, soprattutto a sinistra, sono stati bruciati: Prodi addirittura per tre volte, ma poi Veltroni, Rutelli, lo stesso D’Alema (a sua volta all’origine dell’azzoppamento di altri leader della sinistra) e poi di recente Enrico Letta, Pisapia. Per non
Fontana – ed è davvero la parte più nutriente del libro – affianca l’analisi politica di osservatore al racconto di retroscena e episodi inediti descritti in modo secco, da cronista, mestiere imparato all’Unità prima della lunga scalata a via Solferino. Per esempio quando racconta che nel 2016 Berlusconi – alle prese con l’operazione al cuore – confidò agli amici: “Se avessi saputo di dover soffrire così tanto, avrei preferito morire”. O quando spiega che sia con lui che con De Bortoli, Renzi polemizza via sms: “’So cosa state facendo‘ è un suo classico” rivela Fontana che peraltro non risparmia di aggiungere che invece da Gentiloni mai un sibilo.
Ma soprattutto Fontana, tra le altre cose, rende chiaro come mai a destra si torni di nuovo a Berlusconi, 24 anni dopo, nonostante – commenta Fontana – sia un leader “incompleto” perché abilissimo come “venditore” (cioè in campagna elettorale), ma deludente una volta al governo. “Non ci sarà mai un delfino o un successore. Se mai arriverà, il nuovo leader del centrodestra emergerà per strade diverse da quella dell’investitura da parte del Cavaliere”. E la riprova, eccola: nel 2017 Berlusconi si lamenta sempre più spesso del fatto che Giovanni Toti, fino a quel momento suo consigliere politico, sia fuori dalla linea di Forza Italia (Toti è un fautore dell’alleanza stretta con la Lega, fino addirittura a un listone unico). Fontana racconta che quando a sorpresa il direttore del Tg4 vince le Regionali in Liguria, l’ex Cavaliere non gli fa nemmeno una telefonata. Cinque anni prima, d’altra parte, Berlusconi aveva fatto lo stesso con Alfano, accusato di non avere quid dopo averlo incoronato “segretario politico”.
Lucido e tagliente è il racconto sul centrosinistra, vero mattatoio di leader e campo di gioco che Fontana conosce bene, avendo avuto come direttori all’Unità prima Massimo D’Alema (che aveva fatto installare dei videogiochi su un computer, e ora si capisce da chi ha imparato Orfini) e poi Walter Veltroni, che invece organizzata partite di calcetto (in cui c’era da stare attenti alle entrate ruvide del Lìder Massimo). La rassegna di leader forti e pieni di speranza che cadono subito dopo è degna, come dice Fontana, dei Dieci piccoli indiani di Agatha Christie. Tra Gargonza, patto della crostata e patto delle alici, possono bastare per tutti le tre volte in cui è stato abbattuto Prodi. Nel primo caso Fontana ricorda che Franco Marini rivendica di aver fatto cadere il primo governo di centrosinistra “solo che io non mi sono mai pentito, Massimo (D’Alema, ndr) sì”. Da quel giorno Prodi non gli parla più. Tutt’e due, per un gioco del destino, furono poi impallinati nell’elezione per il presidente della Repubblica del 2013. E qui tutti gli indizi, ricostruisce Fontana, portano ai sostenitori di Marini e ai dalemiani come possibili impallinatori. Ai quali, però, vanno aggiunti i renziani, che volevano indebolire “Pierluigi”.
Infine il M5s che un leader non l’ha mai voluto, che ha la sua ragione sociale nella partecipazione orizzontale, che parla di “portavoce”, ma che ha avuto per anni un garante che ha deciso da solo su molti temi delicati e ora ha un capo politico, Luigi Di Maio, la cui “investitura è stata diretta, nonostante l’organizzazione di finte primarie in cui Di Maio ha gareggiato con sei illustri sconosciuti”. Anzi, il nuovo leader fa di più, svela Fontana: “E’ impegnato a far digerire al Movimento l’idea che dichiarare sempre ‘niente alleanze con gli altri partiti’ non sia più possibile”.
Secondo Fontana una soluzione c’è, passa “dall’abbandono della politica dell’istante, della frenesia del risultato immediato”. “L’esperienza – aggiunge il direttore del Corriere – ci insegna che siamo spesso bravi nell’affrontare le emergenze ma ci mancano il passo quotidiano e la progettazione di medio e lungo termine”. Un leader serve, insomma. Il dubbio che resterà anche lunedì prossimo è se può davvero bastare.