Società

Meritocrazia, quattro motivi per cui è falsa retorica

Il Forum della Meritocrazia, in un recente contributo pubblicato su questo spazio, ha sostenuto che in Italia la meritocrazia è carente e che un suo aumento avrebbe effetti benefici, stimolando la sana competizione di persone e istituzioni. Non intendo commentare sulla quantità di meritocrazia in Italia: le valutazioni internazionali ci pongono ai vertici delle classifiche mondiali nella sanità e nella ricerca; inoltre è inevitabile che nella percezione comune la meritocrazia sia sempre insufficiente. Voglio invece analizzare un più compiutamente quattro tra le molte problematiche della meritocrazia, che nelle presentazioni bonarie e retoriche del Forum non appaiono; e voglio cominciare con la premessa che parlare contro la meritocrazia è difficile proprio per le ragioni che il Forum espone così bene: non si fa forse meritocrazia nelle scuole con i voti assegnati ai bimbi? Non si fa forse meritocrazia nelle gare sportive? Perché quindi non nella valutazione dei professionisti o delle strutture?

1) Se per meritocrazia si intende scegliere il miglior medico tra dieci o la migliore università tra dieci è evidente che questo presuppone la disponibilità di un eccesso di risorse tra le quali scegliere la migliore e scartare le peggiori. Ma le risorse dovranno essere state prodotte tutte, e a caro prezzo. Potersi permettere il lusso di scegliere significa sostenere il costo degli scarti, sia umano che materiale.

Nessun teorico della meritocrazia affronterà mai il problema degli scarti: è più comodo nasconderlo sotto il tappeto. La soluzione è produrre il necessario o un minimo eccesso rispetto al necessario e curare che la qualità del prodotto (anche umano) sia quella minima accettabile per la prestazione richiesta. Questo naturalmente ancora richiederà, almeno in alcuni casi, la dolorosa necessità di concorsi di ammissione e meritocrazia; ma almeno li limita e evita di investirli di poteri miracolosi; inoltre scartare un candidato a un concorso di ammissione gli causa un danno minore che scartarlo dopo il completamento del suo iter formativo. Non spenderò altre parole per dimostrare questo punto: tutti coloro che non ne sono convinti possono tirar fuori il portafoglio e accomodarsi a pagare alla cassa perché la meritocrazia costa cara allo Stato e al cittadino.

2) La valutazione delle strutture si fa per uno scopo. Quando la valutazione investe servizi pubblici o funzionari (come nel caso della valutazione della scuola e dell’università), occorre distinguere se il servizio sia destinato all’intera popolazione, come in genere accade in Italia, o persegua invece un modello elitistico, come negli Usa. In un modello elitistico il servizio è gestito da privati e viene venduto a un acquirente che ha diritto di sapere cosa compra e se il prezzo richiesto è onesto. Questo modello fa lievitare i costi: all’impresario conviene vendere un prodotto migliore a più caro prezzo perché il guadagno è proporzionale al prezzo. Noi abbiamo servizi pubblici di massa, pagati con le tasse dei cittadini, i quali hanno diritto a uno standard qualitativo minimo omogeneo sul territorio nazionale. Il cittadino non compra il miglior prodotto che può permettersi, paga servizi pubblici. Consegue che lo scopo della valutazione in un sistema come il nostro non può essere meritocratico (per le strutture), e dovrebbe essere antimeritocratico: risollevare le realtà in maggiore difficoltà e portarle allo standard qualitativo minimo nazionale.

3) Quando si valutano strutture molto grandi, che il valutatore non può conoscere direttamente, è inevitabile utilizzare indicatori. Nel caso della valutazione dell’Università sono stati usati indicatori bibliometrici. L’indicatore non è il parametro che si vuole misurare (il valore della struttura), ma è correlato col parametro, con un coefficiente di correlazione ignoto, ma che si presume elevato. Anche ammettendo che la correlazione tra indicatore e parametro (valore della persona o della struttura) sia elevata, il fatto di utilizzare lo stimatore a fini premiali fa si che la gente (o la struttura) si metta ad inseguire lo stimatore a discapito del parametro, e di fatto fa crollare la correlazione tra i due. L’uso dell’indicatore promuove cioè comportamenti opportunistici, difformi da quelli desiderabili. Questa è la ragione per la quale una cattiva valutazione è peggiore di nessuna valutazione.

4) La valutazione della scuola e dell’università ha coinciso esattamente nel tempo con una costante riduzione dell’investimento pubblico ed una riduzione del personale docente e non docente: le strutture, soprattutto l’università, sono state valutate senza finanziarle. La valutazione è stata la foglia di fico che i governi hanno usato per nascondere ai cittadini la distruzione di servizi pubblici essenziali. I governi hanno tagliato i fondi all’università pubblica, danneggiando i cittadini ed il paese, ed hanno giustificato questa azione sostenendo che la valutazione meritocratica dimostrava che le strutture non meritavano i finanziamenti.

Io so bene che mettere in discussione la meritocrazia significa esporsi alla facile critica secondo la quale si persegue il losco fine di calcare i buoni e sollevare i pravi, condannato da Dante nell’Inferno: ma questa critica è ingenua e opportunistica perché confonde artificiosamente la valutazione del merito col giudizio civile e penale. Se chi dubita della validità della meritocrazia è un delinquente interessato a truccare i concorsi e dopo la morte va all’Inferno, è ovvio che nessun discorso pubblico è possibile e che tutti siamo ostaggi di una retorica ingenua e spesso interessata.