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Catalogna e Tabarnia, cosa resta di chi vuole ‘separarsi dai separatisti’

Non è difficile comprendere quante fratture si siano create nella società catalana in conseguenza dell’aspro scontro sulla questione indipendentista.

È come se una regione prospera e  operosa abbia deciso di rompersi, parte rilevante della classe imprenditoriale e delle organizzazioni datoriali vedono con sospetto il progetto separatista temendo l’isolamento internazionale, con l’uscita dall’eurozona e i possibili dazi commerciali per le merci destinate ai mercati europei. Gli studenti, invece, sprigionano la loro energia nelle manifestazioni a sostegno della secessione, poco interessati alle ragioni dell’economia. Molti, tra gli unionisti, spiegano la massiccia adesione dei giovani alla causa indipendentista con l’intensificazione dell’indottrinamento nelle scuole, con il corpo docente che, in virtù dell’autonomia scolastica conquistata nei decenni, ha messo al centro dei programmi scolastici la valorizzazione della lingua catalana. Così può accadere di sentire italiani residenti a Barcellona che ti raccontano come – parlando il castigliano e avendo poca confidenza con la lingua locale – supportino con difficoltà i figli in compiti a casa da svilupparsi principalmente in catalano.

Le zone rurali, nelle elezioni del 21 dicembre, hanno dato un segnale chiaro: aprire la strada del futuro al progetto separatista del tripartito Junts per Catalunya, Esquerra Republicana e Cup, province agricole sostenute spesso con i sussidi provenienti dalla Pac, la politica agricola comunitaria, hanno deciso di rinchiudersi nei confini regionali.

Le zone metropolitane guardano invece a Madrid e all’Europa.

Questa divisione tra le campagne e le città, moltiplicatasi nei condomini, nei luoghi di lavoro, ha prodotto una disgregazione che ha finito per prendere il sopravvento sul senso di comunità. Nel mezzo della palude sociale e politica prova a muovere le acque un nuovo disegno utopico: la regione di Tabarnia, definita come “la secessione dalla secessione” di quella parte di territorio – ricompresa nelle province di Tarragona e di Barcellona – che ha attribuito la maggioranza relativa ai partiti unionisti (con un vantaggio, a favore di questi ultimi, di 330 mila voti nella provincia del capoluogo di regione, nel 2015 la differenza si fermava a 220 mila schede).

La proposta di costruire un microcosmo racchiuso in un lembo di terra prende piede, intriga, o quantomeno incuriosisce vista l’attenzione creatasi attorno a Tabarnia Today, la nuova piattaforma mediatica per la diffusione internazionale del “progetto Tabarnia”. In pochi giorni più di un milione di visualizzazioni delle pagine web che smontano l’illusoria proposta indipendentista sostenuta, in prima linea, da Carles Puigdemont e da Oriol Junqueras, accusati di sedizione, ribellione e malversazione, il primo rifugiatosi in Belgio, il secondo ancora in carcerazione preventiva, senza possibilità di cauzione, nel penitenziario di Estremera, non lontano da Madrid.

La vocazione del portale è raggiungere l’opinione pubblica internazionale, senza però discostare troppo lo sguardo dalle faccende interne, con l’ambizione dichiarata di sottrarre consenso ai separatisti. L’editoriale che presenta il sito informativo scomoda l’ex Presidente statunitense Eisenhower il quale, nel suo ultimo discorso, rivelava come l’industria bellica americana creava sempre nuovi nemici della nazione per vedere incrementate le risorse pubbliche destinate alle politiche di difesa.

Il “nemico immaginario” in terra catalana è Madrid, spauracchio che ha consentito alla Generalitat, il governo regionale, di destinare risorse ingenti alla promozione del “catalanismo”, in una logica di mera contrapposizione frontale. Con i media di forte impronta separatista, quali TV3, televisione pubblica della comunità autonoma, e il giornale Ara, uno dei fogli più sovvenzionati d’Europa, usati, secondo i sostenitori di Tabarnia, come fondamentale cassa di risonanza del progetto separatista.

Non manca l’umorismo, tra coloro che vogliono “separarsi dai separatisti”, “domandiamoci più spesso”, raccomandano nell’editoriale, “cosa direbbe ora Miguel de Cervantes, mentre Carles (Puigdemont) continua a chiedersi cosa farebbe ora Don Chiscotte”.