Calcio

Figc, 7 vecchi personaggi in cerca d’autore a picco con le loro brame di potere: il commissariamento è una buona notizia

L'istantanea che certifica il momento più basso della storia del calcio italiano è di ieri pomeriggio e arriva dal sesto piano dell'Hilton di Fiumicino: i potenti del pallone cercano di salvare il salvabile, come l'orchestra del Titanic che continua a suonare mentre il transatlantico affonda. Per questo motivo l'arrivo (sempre più probabile) di Giovanni Malagò alla guida della federazione è un'occasione irripetibile

29 gennaio 2018, ore 17.45. Al sesto piano dell’Hotel Hilton di Fiumicino, dopo un’assemblea estenuante che non ha prodotto uno straccio di maggioranza, i potenti del pallone si riuniscono per cercare un ultimo, disperato tentativo di accordo. Dopo che Damiano Tommasi ha detto no a qualsiasi alleanza, per tenere “la schiena dritta” (o forse solo per i suggerimenti del ministro Lotti, come rivelato da Il Fatto Quotidiano), resta solo l’opzione del governo delle larghe intese fra le due fazioni che fino a un minuto prima si erano combattute anche a insulti e parolacce nella tensione delle dichiarazioni di voto.

Al tavolo delle trattative ci sono: Giancarlo Abete, anni 67, ex presidente della FederCalcio, dimissionario per il grande flop Mondiale del 2014 che ora si ritrova a dispensare consigli su come uscire dalla crisi per la mancata qualificazione ai Mondiali 2018. Carlo Tavecchio, anni 74, presidente uscente, passato alla storia per l’eliminazione con la Svezia e acclamato dall’assise come uno statista al momento dell’addio (due standing ovation, applausi, lacrime), nel duplice ruolo di mediatore e questuante per una nuova poltrona. Claudio Lotito, anni 60, l’uomo che ha spaccato in due la Serie A e paralizzato tutto il sistema, che pur di non perdere pretende di impostare un’improbabile trattativa con i nemici di sempre. Francesco Ghirelli, anni 69, ex segretario generale della Figc, da cui è uscito ai tempi di Calciopoli (coinvolto nello scandalo, poi prosciolto), salvo rientrare di recente dalla porticina della Lega Pro, sempre in prima linea quando si tratta di tessere i fili per un’elezione, qualsiasi essa sia. Renzo Ulivieri, anni 76, capo degli allenatori che non allena da tempo, presunto comunista che affossa candidati per ragioni politiche ma per sé non disdegna incarichi e poltrone in Federazione. Gabriele Gravina, anni 64, da trenta nel mondo del pallone, candidato della cosiddetta area riformista. Cosimo Sibilia, anni 58, senatore di Forza Italia che sarebbe effettivamente il più giovane della cricca, “l’uomo nuovo” del pallone come lui ha rivendicato; salvo che avrebbe potuto vincere solo con i voti di Lotito, nel giorno in cui Lotito viene candidato alle Politiche proprio da Forza Italia. Coincidenza come minimo sospetta e un filino inopportuna.

Sette potenti, età media 67 anni, a discutere di come spartirsi il cadavere della Federazione. E al piano terra i ricchi e disinteressati presidenti, da Urbano Cairo a Massimo Ferrero, passando per Aurelio De Laurentiis, che si permettono di dare lezioni a destra e a manca (“Abbiamo fatto l’ennesima figura di merda”, “Ci hanno fatto perdere tempo”), dopo che da oltre nove mesi non riescono a mettersi d’accordo per eleggere un presidente in Lega Calcio, nemmeno di facciata. Eccolo il nuovo che avanza, la rifondazione del pallone che tutti promettevano. Quest’istantanea dell’assemblea elettiva di Fiumicino (che fa il paio con la surreale ovazione tributata a Tavecchio) rappresenta probabilmente il punto più basso della storia del calcio italiano. Ma è la cosa migliore che poteva capitarci.

Per due mesi, i candidati hanno passato la campagna elettorale a discutere solo di poltrone, quasi mai di contenuti. Non sono stati capaci neppure di mettersi d’accordo, continuando a litigare senza accorgersi che si stavano andando a schiantare. Ed è un bene che sia andata così: se l’accordo fosse andato in porto, sarebbe stato solo uno scambio di incarichi e favori, senza nessuna reale intenzione di cambiare le cose, con un governo ancora schiavo dei soliti veti incrociati. Non sarebbe cambiato nulla. Da giovedì, invece, arriva Giovanni Malagò. Piaccia o meno il presidente del Coni, gli va riconosciuto che lui in questa partita non avrà alcun interesse, se non la sfrenata ambizione personale di salvare il calcio italiano. Ben venga, in questo caso. Solo un commissariamento esterno, che non deve dar conto a nessuno, può avere la forza di rivoluzionare il pallone: cambiare le regole del gioco, riformare i campionati, ripartire dai giovani e dai vivai. Palla a Malagò: è l’anno zero del calcio italiano. Finalmente.

Twitter: @lVendemiale