Società

Mental coach, non vi amerò mai. Perché parlate al portafoglio

Perché amo i poeti? Perché sento che parlano al mio cuore. Perché non amo la figura del motivatore o mental coach? Perché sento che parla al mio portafoglio.
I poeti sono diversi tra di loro, possono avere l’aspetto catastrofico di un Charles Bukowski o l’aspetto mite e ordinato di un Fernando Pessoa, i poeti non hanno bisogno di convincermi di nulla, non pretendono di migliorarmi, non vogliono farmi raggiungere degli obiettivi, in sostanza a loro non interessa nulla di me perché non pretendono nulla da me, e proprio per questo con i poeti mi sento libero, la loro indifferenza al mio stato è la conseguenza della loro sincerità, meglio: della loro verità. Un mental coach invece ha un aspetto simile a un altro mental coach, sono fatti con lo stampino, ne ho analizzati due in particolare, uno italiano che si chiama Roberto Re e uno statunitense che si chiama Tony Robbins.

Mi sono venuti i brividi ad ascoltarli, i brividi di noia, una nuova sensazione, e per questo mi sento quasi in debito. Di solito sono eleganti ma non troppo, non devono dare l’impressione di essere azzimati, sono ben rasati, al limite un pizzo curato, sorriso accattivante, denti in bella mostra, denti bianchi che più bianchi non si può, chiacchiera fluida e ritmata, gesticolano molto, sono gesti precisi e decisi, senza sbavature, ma soprattutto non devono dare mai l’impressione di avere un dubbio, un dubbio qualsiasi, lo scetticismo è bandito dalla loro forma mentale, l’incertezza è una nemica, loro devono guidarci verso una meta, devono trasmettere la sensazione di avere il controllo della situazione; questo è comprensibile, nessuno di noi salirebbe su un aereo con un pilota che avesse l’aspetto trasandato di Bukowski, l’immagine di uno schianto mortale ci farebbe arretrare, però il viaggio sarebbe sicuramente divertente, almeno fino allo schianto.

La poesia si nutre di incertezze, di ossimori e paradossi, vive tra una selvaggia chiarezza e una cara incertezza, non vuole centrarci o farci focalizzare un obiettivo, la poesia al contrario ci porta sul precipizio e magari ci spinge pure dicendoci: “Se non sai volare, almeno precipita con classe“. La poesia non vuole insegnarci nulla, si limita a vivere insieme a noi. Un poeta non parlerebbe mai di “una felicità a lungo termine” (sembra quasi una maledizione) come fa Tony Robbins, un poeta al massimo ci dona una felicità tascabile da portarci dietro nei giorni di pioggia. Il poeta scava nella parola fino al silenzio, il mental coach fa surf con le parole, c’è un retrogusto “californiano” nel suo modo d’essere, bisogna essere abbronzati e schivare gli abissi, gli abissi non sono funzionali al successo, all’ossessione del successo.

In un suo video Roberto Re (il cognome è tutto un programma) ci dice che dobbiamo “bombardare” la nostra mente con pensieri positivi, il concetto cardine è che la vita non accade a noi ma per noi, altro concetto chiave: non bisogna tendere ad avere successo ma ad essere di successo. E perché? Per essere felici. E che cosa è la felicità per un mental coach? Il raggiungimento dell’obiettivo, il fatto che ci sia corrispondenza tra la nostra vita e i nostri desideri. Per carità, non sono cose assurde, non c’è follia in queste parole, ma è proprio questo il punto: la mancanza di assurdità. Una vita codificata da concetti chiari e limpidi, una vita bombardata dalla ragionevolezza, una vita appesa al muro con un chiodo, una vita precisa e mirata, che cazzo di vita è? Una sottospecie ontologica dell’Ikea.

Niente di più. E niente di più sconfortante per me. Ecco perché amo i poeti e la poesia e non amo il mental coach, che siano le aziende a nutrirsi di questa figura professionale, ma lasciamo il nostro cuore in mano ai poeti, magari ci faranno sanguinare e precipitare nel vuoto, ma è solo nella poesia che troveremo la nostra verità. Vi lascio con un film dove il mio eterno amico e poeta Nicolino Pompa fa da “mental coach” al pittore Fausto Battelli in crisi: uno spasso, una vertigine d’amore.