Tecnologia

La digitalizzazione all’italiana basata sulle “marchette” Pd

Dai 3 milioni in favore di Isiamed ai 14 stanziati per i Comuni: la corsa alla digitalizzazione sembra assumere più le sembianze di una corsa all’oro made in Italy, sotto la spinta dei “soliti” intrallazzi politici, piuttosto che l’occasione di far ripartire il Sistema Paese all’insegna della trasparenza e della semplificazione.

Il comma 1087 della Legge di Bilancio ha previsto lo stanziamento di ben 3 milioni di euro in favore di un soggetto privato: l’Istituto Isiamed, nell’imbarazzante silenzio generale e in barba alla politica di digitalizzazione “a costo zero” portata sinora avanti dal governo nelle varie normative di riferimento.

La verità è che lo stato di digitalizzazione del nostro Paese ormai è stagnante e la discutibile nomina del Commissario Straordinario Diego Piacentimi, numero due di Amazon, fa ormai acqua da tutte le parti e rivela sia un’assenza di solide strategie, sia una gestione simil-prima Repubblica del nostro Paese.

Proviamo a ricostruire la vicenda Isiamed, iniziando con il distinguere due soggetti identificabili con lo stesso nome: uno è l’Istituto Isiamed, senza fini di lucro nato nel 1974 e che, a leggere la legge di bilancio, sembrerebbe il destinatario dei 3 milioni; il secondo è invece Isiamed Digitale srl, una società costituita l’8 ottobre 2016 (ma con inizio attività a novembre 2017) posseduta per il 25% dallo stesso Istituto e per il 75% da un pianificatore finanziario, Vincenzo Sassi, che risulta esserne anche ad, e che dispone di un “senior partner”, Pier Domenico Garrone.

Oltre a questi nomi spuntano tra le fila di IsiameD vecchie conoscenze risalenti ad un altro storico istituto nazionale, l’Ipalmo (Istituto per le Relazioni tra l’Italia e i paesi dell’Africa, America Latina, Medio ed Estremo Oriente). I vertici di queste due realtà condividono i soliti (ig)noti: Antonio Loche (già DG di Ipalmo ed ex segretario generale di IsiameD); Gian Guido Folloni (ex vicepresidente dell’Ipalmo, poi ministro per i Rapporti con il Parlamento del primo governo D’Alema e oggi presidente dell’IsiameD) e infine Gianni De Michelis, ex Presidente Ipalmo.

Isiamed più che un istituto culturale pare quindi una sorta di rimpasto, che gode di molte simpatie nei poteri forti del Paese (sarebbe altrimenti inspiegabile questo silenzio generale dei mass media su una vicenda così delicata). Approfondendo la vicenda, tra gli intrecci di questo teatrino si scopre quindi che l’Istituto è misteriosamente legato agli interessi di una società con cui condivide denominazione e titolari, la quale sotto la spinta di una chiamata che come tempismo ha quasi del divino, da qualche mese è stata costituita proprio per portare avanti le tematiche di cui si discute.

Questa sorta di gioco delle tre carte, dovrebbe essere già sufficiente a far storcere il naso al contribuente medio, aggiungendo poi che l’Istituto Isiamed non si è mai occupato di digitalizzazione, allora lo sdegno appare la reazione minima. I commenti politici, anche da fonti autorevoli, non sono mancati e Stefano Esposito (senatore Pd) ha avuto modo di definire il finanziamento, senza mezzi termini, come “una marchetta necessaria ad avere i voti per approvare la manovra”.

Distribuzione in aperta antitesi con i limiti che l’Europa prevede per gli aiuti di Stato (tetto massimo di 200mila euro stabilito dal Reg.UE n. 1407/2013 per gli aiuti “de minimis” che un’impresa può ricevere) e in evidente contrasto con i meccanismi alla base della selezione dei fornitori per gli appalti pubblici.

Nella stessa Legge di Bilancio, sempre in barba ai principi sbandierati sino ad oggi, si scopre anche lo stanziamento di altri copiosi finanziamenti (14 milioni di euro) ai comuni italiani per portare avanti un progetto martoriato e fermo da anni: l’Anagrafe Nazionale della Popolazione Residente (ANPR) che dalla sua nascita conta l’adesione di “ben” 41 comuni (microscopici), su circa 8000. Miracoli della campagna elettorale appena iniziata?

Stessa musica per Spid, anch’esso progetto dalle luminose aspettative ma decisamente mal realizzato; i dati infatti, con poco più di 2 milioni di identità Spid erogate a fronte degli oltre 60 milioni di abitanti del Bel Paese, sono assolutamente deludenti.

Situazione coronata dall’ennesima modifica del Codice dell’Amministrazione Digitale, in Gazzetta Ufficiale lo scorso 12 gennaio. Lungi dall’essere un nuovo Codice, come si vorrebbe far credere, la norma ormai si rivela fallimentare, pletorica e impietosamente ignorata da tutte le PA italiane, tanto che molti esperti ne consigliano l’abrogazione pur di non assistere ad ulteriori rimaneggiamenti e correzioni definibili più come accanimento terapeutico che come attività legislativa.

Sembra che questa Italia Digitale non la voglia per davvero nessuno, salvo ostinarsi a raccontare una digitalizzazione senza reali servizi che ovviamente non serve a nulla, se non – appunto – parlarne in campagna elettorale.