Cronaca

Pioltello, ero su quel treno. E ho avuto il tempo per capire che sarebbe finita

di Franco Valenzano

Ero proprio nella carrozza, la terza, accartocciatasi intorno al palo.
Per tutti noi, pendolari di quel treno maledetto, è stato terribile e devastante avere tutto il tempo per renderci conto che molto probabilmente, di lì a poco, sarebbe finita. Esattamente come accade agli sfortunati passeggeri di un aereo che precipita.

Stavamo andando al lavoro e, invece, qualcuno e/o qualcosa, aveva deciso che avremmo dovuto lasciare, così indignitosamente intrappolati e impotenti, i nostri cari. Inconsapevoli che la Signora in nero, con la sua falce, era salita con noi su quel treno. A breve si sarebbe rivelata con il suo aspetto più orribile.

Originariamente ero proprio nell’angolo in cui la vettura si è piegata a 90. Avevo trovato posto solo sui sedili basculanti posti appena dopo l’entrata, nello spazio tra i corridoi, poiché mi muovo lentamente in questo periodo. Una stampella mi aiuta a risparmiare un ginocchio malmesso, inoperabile a causa della doppia assunzione di fluidificatori del sangue che, a causa d’altro, devo assumere per un po’.

Mi sono alzato di lì solo quando il rumore proveniente dal pavimento, come di sassi sbattuti violentemente al di sotto, ha iniziato a crescere spropositatamente, insieme alla velocità sempre più inaudita del treno. Il primo pensiero: “L’autista è stato colto da malore, il treno è ingovernato!”. La situazione diveniva sempre più anomala e sempre più evidentemente pericolosa. Mi sono alzato e sono entrato nel corridoio con l’intento di portarmi sempre più in coda al treno. Ho iniziato a gridare: “Spostiamoci verso la coda!”. Ma quei treni sono sempre strapieni, i corridoi inflazionati di gente che viaggiava in piedi.

La carrozza ormai volava, letteralmente. Sbattendoci come fuscelli in ogni direzione. A quel punto ho pensato di accovacciarmi nel corridoio fra i sedili. Dovevo proteggere gli organi vitali. In qualche modo, mi ha salvato. Poiché eravamo lanciati ad una velocità da freccia rossa, per quel treno. Quando ha iniziato a reclinarsi a destra e sinistra, a roteare paurosamente, mi son detto: “E’ finita”. Ho tentato disperatamente di telefonare a mia moglie. Volevo darle, insieme, l’ultimo saluto e chiederle di allertare i soccorsi. Poi lo schianto sul palo. E solo fumo, polvere acre, il silenzio spettrale di qualche manciata di secondi. E poi le urla, le grida e i lamenti di chi era rimasto incastrato fra le lamiere. I silenzi devastanti di chi veniva chiamato ripetutamente e sempre più a gran voce, inutilmente. I soccorsi non sono stati così rapidi, voglio dirlo chiaramente: si sono visti quattro poliziotti e vigili del fuoco solo dopo quasi un’ora.

Resta un film che seguita a passarmi innanzi.

Sono stato al Pronto soccorso, essendo cardiopatico ischemico cronico, mi han fatto visitare immediatamente: ECG esami sangue e radiografia alla spalla dolorante. Personale gentilissimo e preparato a gestire pazienti sotto shock.

Ora sono a casa, ne stanno uscendo ancora e altrove di dolori. Come anticipatomi dal bravo medico di Treviglio. Ma sono vivo.

Un’esperienza del genere ti rimane dentro. Impatta nel tuo intimo con la stessa violenza della carrozza sul palo. Credo mi abbia cambiato anche più di quanto io creda. Non solo in negativo. Nella visione della vita e nei rapporti con gli altri.

Ora seguito a rivedere quel film terribile non appena chiudo gli occhi o resto solo. Mi ritrovo a piangere come un bambino per quel che ho visto: un cervello e brandelli di carne sui binari. La psicologa che hanno messo a disposizione al pronto soccorso mi ha in qualche modo preparato, non sarà così breve da dimenticare.

Ma si affronterà anche questa.

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