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Overwatch League: le ragioni di un successo annunciato

Dopo poco più di un anno di silenzio ufficiale e di voci che si rincorrevano per stanze e corridoi, tra rivelazioni, smentite e annunci, è finalmente iniziata la Overwatch League, la competizione targata Blizzard Entertainment e dedicata all’ultimo titolo competitivo del publisher di Irvine.

Numeri da capogiro per la prima settimana di incontri: più di 10 milioni di spettatori si sono connessi nell’arco di quattro giorni su Twitch, MLG e i partner cinesi per le trasmissioni ZhanQi TV, NetEase CC e Panda TV, per non parlare degli innumerevoli spettatori presenti ai raduni in tutto il mondo. Soltanto su Twitch e MLG il picco di 437mila connessioni contemporanee si è avuto nel primo giorno, durante l’attesissimo match tra i Dallas Fuel e i Seoul Dynasty. Senza dimenticare il successo del pubblico dal vivo: i biglietti per la Blizzard Arena di Los Angeles, appositamente creata per la Overwatch League, sono andati esauriti per tutta la settimana d’apertura. Un successo che su ESPN è stato definito come un vero e proprio homerun: un fuoricampo da milioni di dollari.

Dall’annuncio alla prima partita è passato più di un anno e in tale periodo sorgevano infinite domande, spinte dalla quasi totale assenza di informazioni. Quasi come se la Blizzard non volesse mai rivelare fino in fondo quanto fosse imponente il progetto su cui lavorava. Ci sono stati momenti nel corso del 2017 in cui sembrava che finalmente arrivasse l’annuncio sull’apertura dei giochi ma ogni notizia riguardava invece il contorno della competizione. Prima l’ingaggio di commentatori del calibro di Christopher “MonteCristo” Mykles e Erik “DoA” Lonnquist, con un passato (nostalgico per gli appassionati) su League of Legends. Poi i primi sussurri sulla quota d’ingresso per disputare il campionato: 20 milioni di dollari. Le prime squadre che confermano la propria partecipazione, seguite dai loro loghi e dai propri siti dedicati. I contenuti proposti da Blizzard sulle storie dei giocatori, sulle rivalità tra le tifoserie ancora acerbe, la costruzione di nuove personalità. Un’escalation di informazioni che hanno lentamente ma progressivamente condotto la OWL a un livello superiore.

Nate Nanzer, commissario dell’Overwatch League, racconta: “Da quando abbiamo annunciato l’Overwatch League, durante il BlizzCon 2016, siamo stati ansiosi di vedere il giorno in cui la community competitiva di Overwatch avrebbe potuto radunarsi sotto un’unica bandiera. La settimana d’apertura è stata una festa per tutti: per i fan presenti alla Blizzard Arena di Los Angeles, per i milioni connessi da tutto il mondo e per i giocatori, il cui amore per questo gioco è emerso preponderante.”

I tifosi dei Dallas Fuel


“L’amore per il gioco” è indubbiamente una delle chiavi del successo dell’Overwatch League. Un amore artificiale costruito in appena due anni. League of Legends, probabilmente l’eSport finora più seguito al mondo, ha impiegato più del doppio per arrivare a creare prima una community solida di giocatori e poi di spettatori delle proprie competizioni. Il primo mondiale fu giocato al DreamHack di Svezia in una stanza con 100 spettatori dal vivo, 210mila in streaming e 100mila dollari di montepremi totale. Un evento seguito dagli appassionati e poco più, passato quasi in sordina rispetto ai titoli mainstream di 7 anni fa: Starcraft e Counter-Strike in primis. Eppure oggi i mondiali di League of Legends sono seguiti da decine di milioni di spettatori: un successo acclamato da tutti giunto grazie alla crescita costante della base di videogiocatori e alla politica accorta di Riot Games, l’azienda sviluppatrice, che ha sempre sostenuto con fermento la componente competitiva del gioco creando i campionati continentali che per nove mesi all’anno attirano l’attenzione su di se.

Una giocata spettacolare di Dante “Danteh” Cruz dei San Francisco Shock con Tracer, uno dei personaggi più famosi di Overwatch


Il problema per la Overwatch League è che non ha a disposizione lo stesso tempo concesso a League of Legends. Gli eSports sono praticamente cresciuti insieme a LoL che ha fatto da traino agli altri titoli, fino a quel momento riservati a una nicchia di mercato, contribuendo a un’esposizione mediatica esponenziale negli anni successivi. Iniziare una competizione nel 2018 significa dover recuperare il terreno perduto per evitare di trasformarsi nell’inseguimento impossibile di Achille e la tartaruga. Percorrendo lo stesso iter degli altri titoli, la Overwatch League avrebbe visto la luce solo tra un triennio. A meno, appunto, di “forzare” il pubblico, soprattutto quello non giocante, a seguirne le competizioni. Come?

Il segreto di Pulcinella è sotto gli occhi di tutti: permettere allo spettatore di identificarsi. In Italia, ad esempio, il calcio funziona perché permette al pubblico, anche generico, di identificarsi con una determinata squadra, la propria squadra del cuore. Un concetto che può essere applicato persino più a fondo se l’identificazione combacia con l’appartenenza alla propria nazione o, ancora di più, alla propria città. Il primo esperimento competitivo promosso da Blizzard è stata, appunto, la Overwatch World Cup: un torneo per nazioni che ha indubbiamente rappresentato il primo tentativo di attirare l’attenzione di giocatori e semplici curiosi. Non tutti in Italia seguono il campionato di serie A o il calcio in generale: eppuer molte delle persone fuori dal mondo del calcio non avrebbero mai rinunciato a una partita della nazionale. Un esempio ancora più calzante è il rugby: pochissimi, rispetto ad altri sport, lo praticano o lo seguono ma in ogni occasione in cui la nazionale italiana gioca all’Olimpico di Roma o al Flaminio, lo stadio fa il tutto esaurito. Se poi l’identificazione avviene per spirito d’appartenenza alla propria città allora si raggiunge il grado massimo di fidelizzazione.

La vittoria dei Los Angeles Gladiators


Esattamente ciò che l’Overwatch League rappresenta. Sei giocatori per team più le riserve, dodici squadre, raggruppate in due divisioni, ognuna associata a una città seguita da nomi accattivanti. I Seoul Dinasty e gli Shanghai Dragons sono così le squadre della capitale coreana e della città cinese, mentre i London Spitfire sono gli ambasciatori di Londra, unica formazione dell’Europa. Le altre nove giocano per i New York Excelsior, gli Houston Outlaws, i Los Angeles Valiant e Gladiators (unica città ad avere due squadre), i San Francisco Shock, i Philadelphia Fusion , i Boston Uprising, i Florida Mayhem (Miami) e i Dallas Fuel.

Adriano Milone, commentatore eSport conosciuto in Italia come Il Merlo, ha vissuto la prima settimana di Overwatch League ad Atlanta, lontano dall’arena di Los Angeles ma abbastanza vicino da comprendere i gusti degli americani: “Sono semplicemente tutti pazzi per la OWL. Paul “Rabies” Santoro, mio collega, mi ha confidato che avere l’opportunità di tifare la squadra della propria città, qualunque sia la disciplina sportiva o meno, è per loro come una religione. Uno degli host della Overwatch World Cup,  Alex “Goldenboy” Mendez di New York, è letteralmente diventato il tifoso numero uno dei giocatori dei NY Excelsior, pronto ad acquistarne più merchandising possibile.”

Facile, quindi: è sufficiente associare le squadre alle città. Quasi. È anche necessario creare un modello di business sostenibile che coinvolga più attori possibili. E che dia agli sponsor la possibilità di investire nel medio-lungo periodo. Per fortuna della Blizzard non c’è alcun bisogno di inventare tale sistema perché è già presente e radicato nella tradizione sportiva americana: il franchising. È lo stesso formato adottato decenni fa dall’NBA e dall’NHL così come per quasi tutti gli sport d’oltreoceano. Addio promozioni e retrocessioni: a sfidarsi di anno in anno sono sempre gli stessi nomi che, dietro pagamento di una quota d’ingresso, disputano il campionato. Quota che nel caso della OWL è stata fissata a 20 milioni di dollari.

Tifosi in delirio per un’azione fantastica della loro squadre del cuore

Il sistema ha attirato, senza sorprese, anche realtà già presenti negli sport professionistici nordamericani. I Los Angeles Rams e i New England Patriots sono due nomi del football che hanno deciso di investire nella OWL, così come i New York Mets del baseball a stelle e strisce. Altre hanno invece investito in una sorta di joint venture con organizzazioni eSport già affermate. È ad esempio il caso dei Texas Ranger, squadra dell’MLB che si è affidata al know-how e all’esperienza degli OpTic Gaming, realtà presente su Call of Duty, CS:GO e, da qualche mese, anche su League of Legends, per fondare gli Houston Outlaws. Gli NRG Esports, invece, condividono i proprietari con i Sacramento Kings dell’NBA e tra gli investitori che hanno contribuito alla nascita dei San Francisco Shock si trova anche Jennifer Lopez.

Il binomio identificazione-franchising è lo stesso sistema utilizzato per esportare il calcio in Nord America, storicamente restia al gioco del pallone. Negli anni ha visto accrescere il fatturato di miliardi di dollari, portando anche stelle (e non solo) del calcio europeo a svernare oltreoceano, attratti dagli stipendi d’oro. Giovinco e Pirlo, così come Lampard e Kakà, alcuni nomi da ricordare. E se ha funzionato con il calcio, vecchio di un secolo, figuriamoci con l’Overwatch League, punta di diamante dell’intrattenimento del futuro targato Blizzard alla quale Twitch, principale piattaforma streaming del mondo occidentale parte della galassia Amazon, ha versato 90 milioni di dollari per trasmettere la competizione in esclusiva.

fonte foto: Blizzard Press Center