Politica

Vaccini, una giusta battaglia con gli eroi sbagliati

“Vorrei che la campagna elettorale non fosse sui vaccini”, scrive Matteo Renzi su Facebook mentre rilancia il post di un suo candidato, il medico Roberto Burioni, auto-proclamatosi campione della scienza contro i barbari no-vax. E così, con questo post, Renzi contribuisce a fare in modo che la campagna elettorale sia sui vaccini, posizionandosi sul lato opposto a Luigi Di Maio e Matteo Salvini.

Le uscite di Burioni – e Renzi – sui vaccini, a difesa della scelta del ministro della Salute Beatrice Lorenzin di estendere il numero di vaccini obbligatori, a me suscitano sempre qualche disagio. Ho l’impressione che siano molto dannosi alla causa – giusta – che vogliono difendere, cioè ribadire l’importanza della scienza e del metodo scientifico contro le certezze da web e l’equivalenza tra punti di vista documentati e chiacchiere da ciarlatani.

Per stare al caso specifico oggetto della polemica di Burioni: di morbillo si moriva e ora non si muore più, anche e soprattutto per merito dei vaccini. Basta guardare il grafico qui sotto tratto da un recente rapporto di Istat e Unicef sulla mortalità infantile in Italia da morbillo. Su questo non si discute.

Burioni usa le armi dei suoi nemici, invece che quelle della scienza: racconta il caso di un 44enne che non si è vaccinato e che, dopo essersi ammalato da adulto, attraversa sofferenze terribili. Approccio scivoloso quello di raccontare storie esemplari. E’ lo stesso di quelli che dicono: “Mio nonno ha sempre fumato due pacchetti al giorno ed è campato fino a cent’anni, quindi io continuo a fumare senza preoccuparmene”. E’ proprio spostare questo genere di dibattiti sui casi singoli che compromette l’approccio scientifico basato sulla statistica (così come raccontare la storia di un bambino che ha avuto problemi dopo un vaccino non significa che i vaccini fanno male se quel caso rientra nella statistica conosciuta e giudicata tollerabile ed è uno su molti milioni che hanno evitato danni molto più gravi).

Burioni è noto per l’espressione da talk show: “La scienza non è democratica”. A parte che non è del tutto vero, perché i dogmi assoluti sono tipici della religione mentre il metodo scientifico si fonda su tesi verificabili (ma anche falsificabili) e sul dubbio come metodo, sulla costante consapevolezza di avere solo verità provvisorie, l’approccio di Burioni e dei suoi imitatori è in fondo soltanto una riedizione dell’antico “principio di autorità”. E’ così perché lo dico io, che sono il medico, mentre voi, popolo ignorante, non avete diritto di parola o pensiero.

Ribadisco: io non discuto che Burioni abbia ragione. Ha ragione nel difendere i vaccini. Ma ho parecchi dubbi che il suo metodo sia efficace. Perché dietro questa ondata anti-scientifica, no-vax, anti-Ogm, anti-globalizzazione c’è una domanda di conoscenza di cui tenere conto. Chi professa teorie no-vax è di solito molto informato, molto convinto. Il guaio è che le informazioni e le convinzioni derivano da fonti con la stessa affidabilità dell’oroscopo di Branko (non si offenda Branko). E queste pagine Facebook o blog – dai gruppi di “mamme pancine” che mangiano la placenta ai siti sui rimedi naturali contro il cancro – costituiscono un universo coerente e chiuso non scalfito dalle intemerate di Burioni. Anzi, i suoi attacchi servono solo a rafforzare l’immagine di una scienza ufficiale e dogmatica sovrapposta al potere che vuole silenziare ogni dissenso.

Il guaio è che la scienza non è democratica, ma la politica sì. Quindi Burioni può aver tutte le ragioni del mondo ma se il 40 per cento degli elettori (quelli di Lega e M5s) vuole votare partiti che promettono di abolire l’obbligo vaccinale rafforzato dalla Lorenzin, beh, il polemico professore deve riconoscere che qualcosa nel suo approccio non sta funzionando. Il pubblico che lui vorrebbe ricondurre alla ragione se ne frega completamente dei suoi post e tweet i quali servono solo a qualificarlo come campione pro-vax. Molto utili a portarlo in Parlamento, senza dubbio, meno a rassicurare sui vaccini.

Sono dinamiche che abbiamo già visto in questi anni nel dibattito sull’euro: evocare apocalissi in caso di uscita dalla moneta unica e tacciare di incompetenza i tanti (spesso davvero incompetenti) che passavano dalle discussioni da bar sport ai simposi sulle aree valutarie ottimali poteva gratificare il nostro ego di pragmatici europeisti, ma non serviva assolutamente a nulla. Nell’epoca dei social pensare di convincere qualcuno col ricorso al principio di autorità è ridicolo, oltre che inutile.

Burioni e i suoi sostenitori dovrebbero fare lo sforzo di spiegare da dove derivano le loro certezze. Perché sono così granitici nella convinzione che i vaccini, anche obbligatori, sono necessari. Lo so che è faticoso spiegare quello che per tanti è già ovvio. Ma è necessario, visto che per gran parte della popolazione chiaramente così ovvio non è. Per intenderci: ci servono più Piero Angela e meno Burioni, più divulgatori e meno chierici custodi di un sapere esoterico che non condividono con le masse.

Nel caso dell’euro a sgonfiare il dibattito ci ha pensato la ripresa economica. Appena la gente ha avuto di nuovo un lavoro e un po’ di soldi in tasca, la prospettiva di tentare l’azzardo di uscire dalla moneta unica è subito apparsa molto meno allettante. Per i vaccini è più difficile che le cose si risolvano da sole.

Ma c’è molto che si può fare oltre che insultare chi la pensa diversamente (ripeto: sbagliando ed esponendo se stesso e i suoi figli a rischi gravi). Per esempio svuotare lo stagno del sospetto in cui sguazzano i no-vax. Aumentando la trasparenza su consulenze e incarichi e rafforzando le norme anti-conflitto di interessi tra pubblico e privato, così da dissipare i timori, non del tutto infondati, che spesso le politiche sanitarie siano influenzate un po’ troppo da logiche di business. E pubblicando informazioni e statistiche chiare e comprensibili, non esasperate per sostenere una decisione già presa. Il trattato commerciale tra Ue e Usa noto come Ttip è diventato molto meno affascinante e spaventoso quando la Commissione europea ha autorizzato l’accesso a praticamente tutti i documenti negoziali. Molto più semplice temere sfracelli da oscuri negoziati che studiarsi migliaia di noiose pagine molto tecniche.

Anche gli obblighi devono essere gestibili e credibili, per essere condivisi: difficile sostenere che c’è una potenziale epidemia di malattie infettive pericolose in Italia e poi ammettere comunque tutti i bambini non vaccinati a scuola sulla base di auto-certificazioni, con il solito caos burocratico all’Italia per cui ogni Regione e perfino ogni scuola applica standard diversi.

I vaccini sono entrati in campagna elettorale. Ormai è tardi per tornare indietro. Ma affrontiamo il tema di fondo, invece che il sintomo. La vera sfida è come costruire una nuova legittimità a scelte che in passato sono state accettate sulla base di un patto sociale che ora non è più condiviso. Nessuno contestava i vaccini quando l’autorità dei medici era assoluta e indiscutibile (“Lo ha detto il dottore”). Ora le persone si fanno più domande e cercano risposte in autonomia, su Google, su Facebook, su Twitter. Può non piacerci ma è così. Medici, divulgatori e – nel nostro piccolo – pure i giornalisti hanno la responsabilità di offrire risposte più chiare, motivate, inattaccabili in modo da ricacciare nell’oblio e nel ridicolo da cui sono usciti i tanti ciarlatani che grazie al web ottengono diritto di tribuna.

E’ difficile, faticoso, estenuante. Ma è un progetto molto più nobile provare a costruire una vera cultura scientifica diffusa piuttosto che conquistarsi un seggio parlamentare denunciando la sua assenza.