Mafie

Dell’Utri, la decisione sulla scarcerazione dell’ex senatore slitta a dopo le elezioni

La corte d'appello di Caltanissetta ha dovuto rinviare al prossimo 8 marzo il processo di revisione dell'ex senatore di Forza Italia, condannato in via definitiva a sette anni per concorso esterno a Cosa nostra e attualmente detenuto nel carcere romano di Rebibbia

Sarà solo dopo le elezioni politiche che Marcello Dell’Utri potrà essere scarcerato. La corte d’appello di Caltanissetta ha infatti dovuto rinviare al prossimo 8 marzo il processo di revisione dell’ex senatore di Forza Italia, condannato in via definitiva a sette anni per concorso esterno a Cosa nostra e attualmente detenuto nel carcere romano di RebibbiaI giudici avrebbero dovuto decidere sulla richiesta di sospensione dell’esecuzione delle pena presentata dalla Procura generale. A sorpresa, però, è stata sollevato un conflitto di competenza “denunciato” dalla Procura generale di Palermo.

Una novità inattesa che ha indotto il legale di Dell’Utri, l’avvocato Francesco Centonze, a chiedere un termine per pronunciarsi sulla questione e ha determinato i giudici a rinviare all’otto marzo. Erano stati proprio i legali dell’ex senatore a presentare l’istanza di scarcerazione nel corso del giudizio di revisione avviato su richiesta della difesa dell’imputato davanti alla corte d’appello nissena. Nelle scorse settimane gli avvocati dell’ex senatore si erano visti respingere dal tribunale di sorveglianza di Roma un’istanza di differimento della pena per il loro assistito per motivi di salute. Da tempo, però, sostengono che il caso Dell’Utri sia assolutamente sovrapponibile al caso Contrada e che anche la condanna dell’ex manager di Publitalia, alla luce del verdetto della corte di Strasburgo di tre anni fa, sia illegittima.

 Tutto è legato alla sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo che ha dichiarato illegittima la condanna inflitta, per lo stesso reato, a Contrada. Era l’aprile del 2015 quando la Corte Europea dei diritti umani aveva stabilito che l’ex numero due del Sisde non andava condannato per concorso esterno perché all’epoca dei fatti contestati (che vanno dal 1979 al 1988) il reato “non era sufficientemente chiaro“. Lo sarebbe diventato solo nel 1994 con la sentenza Demitry, che tipizzava per la prima volta quella inedita fattispecie nata dall’unione dell’articolo 110 (concorso) e 416 bis (associazione mafiosa) del codice penale.

Come l’ex superpoliziotto anche Dell’Utri è stato condannato per fatti avvenuti prima del 1994 – nel caso dell’ex senatore fino al 1992 – e quindi non “coperti” dalla sentenza Demitry. Gli avvocati dello storico braccio destro di Silvio Berlusconi hanno quindi provato la strada dell’incidente di esecuzione davanti alla corte d’appello di Palermo sostenendo l’immediata applicazione del verdetto Cedu al loro assistito. Ma l’istanza, che conteneva la richiesta di sospensione della pena, è stata respinta. Stessa decisione ha preso la Cassazione a cui i legali hanno fatto ricorso: i giudici della Suprema corte però hanno indicato la via del processo di revisione. Sono i giudici nisseni, dunque, che potrebbero restituire la libertà al fondatore di Forza Italia. Ma solo dopo le politiche.