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A tutti l’augurio di un 2018 pieno di ‘fake news’

S’approssima l’anno nuovo ed è, come sempre, tempo di buoni propositi. Quali buoni propositi? Personalmente non nutro alcun dubbio. Fossi io un giornalista ancora in servizio permanente attivo, non esiterei ad affrontare il 2018 con una solenne promessa: quella di scrivere solo e soltanto fake news. Fake news a iosa, fake news a grappoli, a manciate. Fake news che più fake sono, meglio è…

No, non sto scherzando. Gli ultimi eventi – ed in particolare quelli che sono venuti accumulandosi, con vertiginosa intensità, dopo l’ultima campagna presidenziale Usa – m’hanno davvero convinto che solo le fake news possono salvare il mondo. Provate, infatti, a considerare quanto segue. Fake news è, nel suo tradizionale significato di “notizia falsa”, un termine antico quanto il linguaggio e la scrittura. Ma il suo uso ha subito un più che esponenziale aumento con l’entrata in scena di Donald Trump, il gran ciarlatano approdato un anno fa alla Casa Bianca. Ed è, in questa sua nuova veste, rapidissimamente diventata, oltre che il contrario di se stessa, anche l’espressione più amata e ripetuta da despoti, tiranni, autocrati, caudillos e dittatorelli d’ogni latitudine.

Un po’ di storia e qualche esempio per meglio comprendere. Donald Trump – divenuto famoso grazie al fake-business di imprese finite in bancarotta ed al fake-fake del reality show – debuttò infine in politica, nel 2011, cavalcando una classica fake news. Quella – come molti ricorderanno – della nascita ”keniota” di Barack Obama. O, ancor meglio: lo fece esibendosi, per più d’un quadriennio, in una vera e propria produzione seriale di fake news – una “produzione di fake news per mezzo di fake news” l’avrebbe chiamata l’economista Pietro Sfraffa –  relative, tanto al “vero” luogo di nascita dell’allora presidente, quanto a quel che lui stesso andava facendo per scoperchiare, infine, la verità. Trump aveva infatti annunciato d’avere sguinzagliato suoi detective tanto in Kenia (la “vera” terra natale del presidente) quanto alle Hawaii (il millantato luogo di nascita di Obama) e d’avere già da questi ultimi ricevuto informazioni “da non credere”. Da non credere davvero, visto che entrambe le cose – i detective e le informazioni – non erano mai esistite. Ma ancor più interessante fu il modo col quale – nel 2016, in piena campagna presidenziale, quando ormai la storia dell’Obama keniota non era che una vecchia barzelletta mal raccontata – Donald Trump chiuse infine questa lunga pantomima. Lo fece – è appena il caso di sottolinearlo – con una fake news. Ovvero: sostenendo che la vera responsabile delle frottole sul “vero” luogo di nascita di Barack Obama era in realtà Hillary Clinton. E che proprio a lui, a Trump, andava il merito d’avere, con le sue indagini, ristabilito la verità dei fatti.

Diventato presidente dopo aver battuto, nel corso della campagna elettorale, tutti i record di fake news, Donald Trump non ha, notoriamente, esitato ad attribuire a se stesso il “merito” d’avere inventato il termine fake news. Il che, ovviamente, altro non era che una nuova fake news. Con però, a questo punto, una molto significativa viariante. O meglio: con una definitiva trasfigurazione del termine. Fake news stava ora, non più per “notizia falsa”, ma per notizia vera, verissima. E proprio per questo sgradita a Trump. Primo esempio di questo trasfigurato tipo di fake news (primo d’una ormai sterminata serie): la polemica sul numero di partecipanti alla cerimonia d’inaugurazione.

Era inevitabile che in questa sua reincarnazione trumpiana, la denuncia delle fake news venisse accolta a braccia spalancate da chiunque nel mondo, detenendo il potere (in particolare quando questo potere è assoluto o quasi assoluto), teme la verità più d’ogni altra cosa. Di fake news ha di recente parlato il filippino Rodrigo Duterte, – e lo ha fatto con Trump al lato che approvava sghignazzando – definendo “spie” (un’accusa che nelle Filippine può significare la morte) i giornalisti che s’azzardavano a rivelare i suoi molti misfatti. Come fake news sono stati bollati, dal siriano Bashar Assad le denunce , diffuse da Amnesty International, sui morti ammazzati – almeno 13.000 – nel carcere di Saydnaya. Proprio ad uno dei numerosissimi tweet con i quali Trump quotidianamente si scaglia contro CNN, ha fatto di recente riferimento il governo libico per denigrare un credibilissimo servizio sul ritorno della schiavitù in quel disastrato paese. E di fake news si riempie la bocca, ogni giorno, anche il venezuelano Nicolás Maduro – uno che nelle notizie false ci naviga da sempre – per denunciare la “campagna imperialista” che rivela il disastro economico nel quale il chavismo ha precipitato il paese…

Rivelare qui tutte le fake news che, al ritmo d’almeno una mezza dozzina al giorno, Trump ha denunciato come tali in questo primo anno di presidenza, è impossibile. Basta però quest’ultimo episodio per rivelare la vera natura del fenomeno. Solo qualche settimana fa, in uno dei suoi tweet, Trump ha esaltato il valore di un sito chiamato MAGA Pill che riportava i grandi obiettivi raggiunti, in pochi mesi, dalla sua presidenza. Finalmente qualcuno che dice la verità contro le fake news dei mainstream media, ha scritto, raggiante, il presidente Usa. Breve elenco delle altre “grandi verità” riportate nell’ultimo anno da MAGA Pill. Il Papa che usa la magia nera per dominare il mondo. La Nasa che gestisce su Marte una colonia di bambini schiavi. Hillary Clinton che, insieme a Lady Gaga, pratica cerimonie sataniche con sacrificio di bambini…

Non resta, arrivati fin qui, che tornare a bomba e ribadire l’augurio. Che il 2018 porti a tutti tanta felicità ed un mare di fake news. Tante quanto bastano per affondare (o almeno per frenare) la menzogna che si sta divorando il mondo.