Media & Regime

Ciao Nuccio, sulla sedia di Bersani avevi ragione tu

Squillava il fisso sulla scrivania in redazione e compariva l’interno 202. “Sì, Nuccio…”. “Vieni un po’”. L’ordine perentorio non ammetteva repliche. Ma mai era una scocciatura dover fare quei due passi per raggiungere l’Ufficio centrale. Nuccio era di poche parole, quindi se voleva dire qualcosa la prima reazione del “convocato” erano la curiosità e l’interesse. Di fronte a lui sedeva l’altro caporedattore, Vitantonio Lopez. Quando uno dei due ti “affrontava” il secondo raramente interveniva; qualche sguardo, qualche risata nei momenti più rilassati. In quella stanza la costante era la sensazione di ritrovarsi in mezzo a due giganti della professione, completamente diversi l’uno dall’altro: vulcanico e passionale Vito, misurato, pieno di pause, quasi sussurrante Nuccio, che pure sapeva alzare la voce.

“Ascolta…”, esordiva sempre Nuccio. E ora che Nuccio non c’è più la voglia di ascoltarlo è ai massimi livelli. E anche la voglia di raccontargli delle cose che sono rimaste magari là per strada… Ad esempio non mi sono mai scusato per non aver riconosciuto un errore.

Era l’ottobre del 2009, il Fatto era appena nato e in quel periodo, fino al maggio successivo, avrei viaggiato su e giù tra Firenze e Roma dividendomi nei ruoli di corrispondente dalla Toscana e redattore aggiunto all’occorrenza. Avevo seguito il comizio d’esordio del neo-segretario del Pd Pier Luigi Bersani: Prato, in un capannone industriale tra i lavoratori del tessile. Nel mio articolo c’era troppa contestazione, decisamente minoritaria e breve, e poco il protagonista stra-applaudito, completamente assente la scena madre: Bersani che sale sulla seggiola in mezzo agli operai per un discorso improvvisato d’altri tempi. Renzi era vicino qualche chilometro ma erano ancora molto lontani i tempi del renzismo ruggente a livello nazionale e nello stesso Pd oltre Firenze. Bene, nel mio pezzo uscito sul Fatto la scena della seggiola non c’era. Non è stata raccontata. Saranno state le 10 del mattino, squilla il telefono, è Nuccio, lo avevo incontrato prima solo una o due volte in redazione a Roma: “Giampiero, spiegami una cosa? Ma perché nel nostro pezzo non c’è la scena della sedia?”. “Ma sai, mi sembrava più importante la protesta dei dissidenti fuori dal capannone…”, balbettai. Fu l’unica volta che Nuccio alzò la voce parlando con me. Avevo fatto una stronzata, non avevo visto la scena della seggiola perché mi ero mosso maldestramente, non perché avessi valutato più importante la piccola contestazione per davvero. “Te lo dico perché così ci capiamo per le prossime volte…”. Non mi sono mai scusato, appunto, ma so che per Nuccio avevo capito la lezione.

Non gli ho mai detto di un pomeriggio a bordo di un camper con Beppe Grillo, primavera 2010, dopo un comizio a Mirandola, quando il Movimento cinque stelle era ancora lontano dall’idea di poter diventare il primo partito del Paese e quando, nella mia percezione almeno, prevaleva ancora il comico sull’aspirante politico. Ricordo questo Grillo sudato e divertito dopo il palco che mi raccontava i progetti futuri del Movimento, io col mio taccuino a “registrare” e lui che prima di scaricarmi per strada mi dice: “Ma ti fanno scrivere? Se ti fanno problemi chiamami”. “No, fin qui non me ne hanno mai fatti almeno…”. “E ma ci sono quei residuati bellici dell’Unità, Padellaro e il caporedattore Ciconte…”. “Mai fatto problemi fin qui e non credo ne faranno ora”, risposi secco. Non aveva idea Grillo di quanto potessero rendere ricco, plurale, libero e autorevole il Fatto proprio quei “residuati bellici”, come li chiamava lui.

Non gli ho mai detto quanto mi abbia gratificato l’incazzatura disegnata sulle belle rughe del suo volto quella mattina del giugno 2012 quando con Vito mi convocarono nell’Ufficio centrale per chiedermi spiegazioni rispetto a un mio passaggio al nuovo quotidiano Pubblico, annunciato nei corridoi della redazione qualche minuto prima che arrivassi da Luca Telese, in procinto di lasciare il Fatto in polemica per farsi un giornale suo. Io non ne sapevo niente e mai avrei lasciato, come poi dissi allo stesso Telese qualche ora più tardi, un giornale dove potevi confrontarti con signori della professione come Nuccio Ciconte.

 

I funerali di Nuccio si svolgeranno sabato 30 dicembre alle ore 15 al Complesso San Cosimato, sala conferenze (chiostro nuovo Regina Margherita), via Roma Libera 76 – Piazza San Cosimato